La scrittura violata. Fontamara tra propaganda e regime

Alessandro La Monica – “La scrittura violata. Fontamara tra propaganda e regime” – [Mimesis   Edizioni (Milano – Udine), novembre 2020, pp. 224].

Premessa

Il libro esamina la genesi e la ricezione di Fontamara di Silone negli anni che vanno dall’ascesa di Hitler (1933) alla fine della seconda guerra mondiale (1945). Molti studi si sono soffermati sulla fortuna critica del romanzo siloniano e sulle sue numerose traduzioni; nessuno, però, si è occupato delle pressioni esterne subite dal romanzo, che hanno finito, a volte, con mutarne il senso e assegnargli una finalità extraletteraria. In questo lavoro si fa la storia di tali interventi, ai quali l’autore, per sua stessa ammissione, dovette cedere, pur di vedere pubblicata la propria opera.

Sullo scorcio degli anni Venti, dopo dieci anni di militanza rivoluzionaria, Silone patì una crisi di coscienza che gli fece ripudiare la propria “doppiezza” di dirigente comunista negli anni della Terza Internazionale e troncare la pericolosa e troppo lunga vicinanza con un abile commissario di pubblica sicurezza, Guido Bellone. Nel libro si ripercorrono tali vicende, essenziali per la svolta che portò il giovane abruzzese a “far parte per se stesso” e a diventare scrittore. Si dà conto, in particolare, delle circostanze che condussero all’espulsione di Silone dal Partito Comunista e alla fine della sua collaborazione con l’ispettore Bellone, questione, questa, interpretata sulla base di documenti attribuibili a Silone anche in virtù delle analogie lessicali e tematiche fra tali documenti e i suoi scritti coevi.

Una perniciosa malattia polmonare e la crisi psicologica, aggravata dall’arresto e dall’ingiusta condanna del fratello Romolo, obbligarono Silone a curarsi presso alcune cliniche svizzere: qui, meditando sul proprio destino, decise di diventare scrittore. Da quel momento egli considerò la letteratura una sorta di medicina sostanziata di verità: una verità sociale e politica, ma anche, e soprattutto, interiore. Protagonisti delle sue storie furono, perciò, i contadini abruzzesi, unici depositari, per lui, di una forza morale da cui trarre ispirazione per la propria scrittura e, più in generale, per il proprio cammino di uomo.

Nella fase compositiva, tale inquietudine si tradusse nella realizzazione, mai soddisfatta, di numerose versioni dell’opera, parziali e integrali, come dichiara lo stesso autore in una nota allegata alla prima stesura dattilsocritta del romanzo (conservata a Pavia). La mia ricerca aggiunge ora un ulteriore documento: un dattiloscritto integrale, risalente al 1933, che ho avuto la fortuna di scoprire a New York nel lascito della pacifista ungherese Rosika Schwimmer. Il fondo, costudito presso la New York Public Library, contiene, oltre al dattiloscritto, un lungo carteggio che la Schwimmer scambiò con Silone, testimonianza dei suoi numerosi, ma vani, tentativi di pubblicare il romanzo negli USA. La versione tramandata dal dattiloscritto americano, molto simile (ma non identica) a quella del documento pavese, meriterà in altra sede uno studio approfondito, in vista di un’auspicabile edizione critica di Fontamara nella sua prima e più fortunata versione, quella del 1933. Sin da ora si può osservare, comunque, che esso appartiene a una fase precedente alla prima edizione in lingua italiana (Parigi 1933) e che tramanda una lezione diversa da quella utilizzata nel 1934 dal traduttore americano. Proprio alle traduzioni è dedicata una sezione di questo volume in cui, oltre a correggere alcuni dati bibliografici ripetuti passivamente fino a oggi, si comparano le principali traduzioni per verificare a quale fase cronologica appartenga il testo italiano da esse utilizzato. Da tale confronto si scopre che alcune versioni furono effettuate a partire non dall’originale italiano, ma dalla traduzione tedesca.

Altri documenti, inediti o poco studiati, mi hanno permesso di studiare la vicenda di una delle più importanti e, per certi versi, sorprendenti traduzioni di Fontamara, quella in lingua russa, pubblicata nel 1935 a Mosca nonostante l’espulsione dell’autore dal suo partito. Mentre Lev Trockij, già subito dopo la pubblicazione del romanzo, scrisse un’entusiastica recensione, la diffusione dell’opera attraverso la rete mediatica gestita dall’influente membro del Comintern Willi Münzenberg suscitò un dibattito nell’Unione Sovietica, come mostrano una lettera dello stesso Münzenberg a Stalin, recentemente pubblicata in Germania, e i verbali di alcune riunioni segrete del Partito Comunista sovietico, di cui si citano in questo volume, per la prima volta in traduzione italiana, alcuni stralci riguardanti Fontamara.

Anche se pochi mesi dopo la prima edizione il numero delle traduzioni si moltiplicò fino a superare la ventina prima della fine della guerra, gli ostacoli frapposti alla diffusione del libro non si arrestarono. Fontamara finì impigliato tra le maglie della censura italiana e tedesca, mentre altrove alcuni brani della traduzione subirono importanti tagli. Alla censura si affiancò, poi, in alcuni paesi, il boicottaggio da parte dei comunisti locali, i quali, in seguito all’espulsione di Silone dal PCd’I, considerarono Fontamara l’opera di un “rinnegato”: in tale azione di disturbo si distinsero, come vedremo, proprio gli ex-compagni di partito. La storia del boicottaggio del romanzo, però, coincise con quella della sua circolazione clandestina: anche nelle situazioni più avverse l’opera riuscì a trovare una sua, sia pur sotterranea, diffusione presso cerchie ristrette di lettori, compresi quelli che vivevano sotto il fascismo.

Nell’arco di tempo considerato, Fontamara è stato interessato, oltre che dalla censura e dal boicottaggio, anche da un fenomeno apparentemente contrario, quello della propaganda, fenomeno non sempre ben accetto all’autore. L’URSS da un lato e le potenze occidentali dall’altro, da posizioni ideologiche contrarie, utilizzarono il romanzo siloniano in funzione antifascista, inserendolo nei loro programmi di propaganda culturale. Nel fare ciò si avvalsero di un’altra qualità dell’opera: la sua, per così dire, “duttilità”, la sua disponibilità al cambiamento di genere, caratteristica che permise in quegli anni a Fontamara di presentarsi non solo come romanzo, ma anche come opera teatrale, radiodramma, sceneggiatura cinematografica. Fu così, ad esempio, che nel 1941 la BBC trasmise clandestinamente in Italia l’adattamento radiofonico di Fontamara (di cui trascriviamo le righe iniziali): il contesto in cui esso fu realizzato vide protagonista, tra gli altri, uno scrittore per certi versi paragonabile a Silone, come George Orwell, all’epoca collaboratore della BBC.

Pochi anni dopo, migliaia di copie del romanzo, stampate in italiano a Londra, venivano distribuite nelle zone del Sud-Italia liberate dall’esercito anglo-americano. Un aspetto particolare della diffusione mondiale dell’opera riguarda proprio l’uscita del romanzo in italiano fuori d’Italia: a parte la prima edizione stampata a Parigi, finora si conosceva soltanto quella londinese, appunto. Dopo una lunga ricerca sono riuscito a trovare gli episodi di Fontamara nell’annata 1937 del giornale «Il Corriere del popolo», che usciva a San Francisco: non si tratta di un caso isolato, dato che altri giornali antifascisti all’estero idearono e, forse, realizzarono analoghi progetti di pubblicazione del romanzo in lingua italiana.

Fontamara ebbe anche delle versioni illustrate, come quella uscita in Argentina nel 1936, riprodotta in Svizzera, assieme alla traduzione tedesca, nel 1944. In quegli anni Silone era molto attento all’aspetto grafico delle proprie opere e ne affidava la realizzazione ad artisti riconosciuti, incontrati durante l’esilio elvetico. Una storia di “Fontamara e le immagini” non è stata ancora raccontata: io mi limito a tracciarne le linee essenziali. Tale storia non dovrebbe fermarsi alle illustrazioni e alle foto, ma interessare anche le “immagini in movimento”, cioè la vicenda tormentata della versione cinematografica, che si concretizzò, purtroppo, solo dopo la morte dello scrittore con il film di Carlo Lizzani (1980), ma fu vicina alla realizzazione nell’immediato dopoguerra, con ben due sceneggiature composte da firme illustri, quali Luigi Comencini ed Ennio Flaiano in un caso e Mario Soldati (regista e sceneggiatore) e Alberto Lattuada dall’altro. Essa infine dovrebbe spingersi sino alla contemporaneità e prendere in considerazione la scrittura-murales (2018) curata da Andrea Parente ad Aielli: a dimostrazione della vitalità del testo siloniano e del suo messaggio universale.

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Epilogo

Le pressioni esterne, come abbiamo visto, condizionarono fortemente la ricezione e, persino, il testo di Fontamara. La scrittura del romanzo, tuttavia, reagì con una straordinaria capacità di adattamento a una forza d’urto che proveniva da più fronti: non solo dai governi d’Italia e Germania, che agirono con la prevedibile durezza contro l’opera e il suo autore, comminando censure e altri inciampi, ma anche da altri soggetti non toccati dalla polemica del romanzo, come gli ex-compagni di Partito, che boicottarono l’uscita dell’opera in Francia, disturbati dal favore che essa incontrava, contemporaneamente, negli ambienti del Comintern. L’intento propagandistico con cui tali settori utilizzarono il romanzo, pur contribuendo decisivamente alla fortuna mondiale di Fontamara, rappresentò, a ben vedere, un’ulteriore coartazione del suo valore letterario. Né fu diverso l’atteggiamento degli inglesi, che a guerra iniziata si servirono dell’opera con analoghi scopi, diffondendola clandestinamente attraverso i microfoni di Radio Londra e distribuendo il testo in lingua originale ai prigionieri di guerra italiani e ai lettori del Sud-Italia appena liberato.

Una scrittura, come quella di Fontamara, che già nel suo stesso farsi comportò dolore e sofferenza nel suo autore («vi sono delle pagine in quei libri che sono state scritte col sangue»),[1] dopo la sua pubblicazione subì, quindi, a sua volta, una violenza maggiore, suscettibile in alcuni casi di mettere in forse la circolazione dell’opera, o di modificare, in altri, la sua destinazione d’uso. A questo processo non restò estraneo l’autore, che per sua stessa ammissione accettò alcune di quelle richieste in cambio della pubblicazione del romanzo:

per ragioni editoriali, le copie offerte alla pubblicità contengono delle limitazioni, alle quali l’autore non dà carattere volontario. La vera e definitiva edizione di “Fontamara” avrà luogo dopo la caduta del fascismo.[2]

Il fatto è che il romanzo siloniano risentì fortemente dell’epoca in cui venne scritto, l’età dei totalitarismi. L’opera condivise, in un certo modo, le travagliate vicende dell’autore: gli ostacoli che trovò sul suo cammino furono dovuti anche alle posizioni, politiche e intellettuali, di Silone. Eppure il suo essere opera dell’esilio, il suo appartenere alla Exilliteratur, non è solo un effetto della biografia dell’autore, ma deriva anche dal significato politico e letterario del testo stesso, non necessariamente coincidente con le posizioni siloniane, come abbiamo mostrato raccontando la vicenda della traduzione sovietica. Fontamara è essa stessa esilio, poiché sin da subito va oltre se stessa: il racconto sfugge alle categorie di genere letterario, che infatti, a ogni nuovo adattamento, vengono superate, se non messe in discussione. A essere “violati” in questo caso sono i confini di genere che Silone, quasi presago della mutevolezza formale insita nella sua opera, aveva voluto fissare sin dall’inizio, apponendo, accanto al titolo, l’etichetta “romanzo”. Dopo la prima uscita, il testo assunse la forma di pièce teatrale, radiodramma, romanzo illustrato, film, adattandosi ogni volta perfettamente al genere prescelto, allo stesso modo con cui la trama non fece fatica a dismettere la lingua originale (anch’essa una traduzione, in fondo, secondo la Prefazione) e rivestirsi di altri idiomi, anche lontanissimi dall’italiano. L’oltraggio subito dal testo, quindi, non fu solo il frutto di un’epoca di censure e tirannie, ma può essere visto anche in una luce positiva, come il felice riuso di un testo che nascondeva mille potenzialità e un messaggio universale: la lotta contro l’oppressione è prima che un diritto un dovere dell’uomo che si voglia ancora chiamare così.