Ignazio Silone in Svizzera, un intellettuale esule in una terra di accoglienza

Tempo Presente (N. 469-471 / Gennaio-Marzo 2020)

di Angelo G.  Sabatini

Nel travagliato percorso esistenziale di Ignazio Silone la Svizzera rappresenta, infatti, una tappa fondamentale, un approdo fisico ed esperienziale decisivo, che segna un mutamento radicale: a safe harbour, si direbbe oggi, dove l’irrequieto intellettuale abruzzese porta a maturazione una nuova dimensione esistenziale, politica, letteraria. La sua esperienza di scrittore, in particolare, è legata alla nuova patria elvetica dove, alla fine degli anni Venti del secolo scorso, è costretto a rifugiarsi a causa della sua militanza comunista, approdando a Zurigo, affollato crocevia di finanzieri e di intellettuali, di viaggiatori e di “turisti per caso”, tra i quali non pochi esuli.

In questa veste, Silone incontra le prime difficoltà, tuttavia superate grazie alla sostanziale tolleranza ed allo spirito di accoglienza degli svizzeri, che non dimenticherà mai. Nel dicembre del 1930 viene fermato dalla polizia. «Dopo lunghe difficoltà, la Polizia degli stranieri svizzera mi riconobbe il diritto d’asilo a condizione che mi astenessi rigorosamente da ogni attività politica e anche da ogni collaborazione giornalistica avente carattere politico», ricorderà nel 1948.

I primi anni a Zurigo sono tuttavia difficili. «Per sbarcare il lunario mi arrabattavo con piccole traduzioni commerciali dal francese o dal tedesco in italiano… Ricordo ancora con disgusto la fatica estenuante spesa attorno ad un catalogo di utensili ad uso di parrucchieri per signora» si legge in altri suoi scritti. E tuttavia nell’ambiente internazionale di una città pulsante di vita come Zurigo l’abruzzese riservato – e un poco scontroso – che viene dalla terra dei “cafoni” vive un’esperienza culturale assai ricca di incontri stimolanti e formativi. In quella che descriverà in seguito come una città aperta e cosmopolita, incontra infatti molti autorevoli esuli e intellettuali europei.

Silone viene così a contatto con una società più aperta ed evoluta, ricca di fermenti intellettuali, anche per la presenza di fuoriusciti di varie nazioni. A Zurigo, importante centro della cultura europea e mondiale, fa parte di ambienti letterari di formazione europea; nella patria di C.G. Jung, frequenta circoli della nascente psicoanalisi; si unisce a gruppi di intellettuali esuli antifascisti e antinazisti con i quali progetta e realizza varie iniziative culturali a livello internazionale per continuare la sua azione antifascista e antitotalitaria nell’attività giornalistica e letteraria. Conosce personaggi famosi come Bertolt Brecht, Thomas Mann e Robert Musil, e frequenta assiduamente Bernard von Brentano, Rudolf Jakob Humm e Jean Paul Samson.

In questo stimolante clima intellettuale rivede non solo le proprie posizioni politiche, ma anche quelle religiose e ritorna alla concezione di un socialismo libertario basato su radici cristiane. Silone, che giovanissimo aveva criticato la Chiesa e se ne era allontanato per l’ostilità del clero verso le tematiche ed i problemi della classe operaia e conta-dina, per poi abbandonarla definitivamente al momento di abbracciare il marxismo, conosce in Svizzera il socialismo cristiano propugnato da Leonhard Ragaz, «il primo pensatore socialista religioso […] considerato quasi alla stregua di un anarchico». In Svizzera, nel socialismo predicato da Ragaz, Silone ha visto che due concezioni apparentemente contrastanti, cristiane-simo e socialismo, si possono conciliare.

Cultura e spiritualità, dunque, ma non solo. A Zurigo l’intellettuale esule incontra anche l’amore: dal 1931 e sino all’inizio del 1933 ha una relazione con Aline Valangin, pianista, psicoanalista e poi scrittrice, moglie dell’avvocato Wladimir Rosenbaum. La loro casa di Zurigo e quella di Comologno divennero presto punti d’incontro di molti intellettuali emigrati. Fu Aline ad adoperarsi per far pubblicare Fontamara. E fu Aline la sua prima lettrice, anche se la loro relazione non era destinata a durare.

Nella città elvetica, già allora centro bancario e finanziario internazionale dell’ estremo Nord della Confederazione, la cui storia pre-medievale si riflette nelle pittoresche viuzze dell’Altstadt, il centro storico, e si sviluppa su entrambe le rive del Limmat, Silone inizia, dopo brevi soggiorni in Ticino e nei Grigioni, la sua carriera letteraria: nel 1933 pubblica in versione tedesca il suo romanzo più famoso, Fontamara, che verrà tradotto in diverse lingue e darà notorietà internazionale allo scrittore. Il celebre romanzo viene pubblicato dalla casa editrice zurighese Oprecht und Helbling. L’edizione in italiano uscirà solo alcuni mesi più tardi.

Qui matura una scelta politica e ideale che lo allontana definitivamente, dopo un duro scontro con Togliatti, dal Partito Comunista d’Italia: una svolta ideologica che lo porta a sposare, definitivamente, la causa del socialismo riformista e democratico. Una scelta di campo che, tuttavia, non comporta affatto un allentamento della forte pulsione libertaria ed antifascista: la sua opposizione al regime continua ad alimentare la sua produzione letteraria: nel 1934 pubblica Der Fascismus. Seine Entstehung und seine Entwicklung (Il fascismo. Origini e sviluppo) e nel 1938 Die Schule der Diktatoren (La scuola dei dittatori). È del 1937, invece, il suo secondo romanzo, Pane e vino, che racconta le vicende dell’antifascista borghese Pietro Spina.

Tornando agli inizi degli anni Trenta, la scrittrice Franca Magnani, allora bambina, ricorda di averlo conosciuto bene. «Silone veniva spesso a trovarci insieme alla sua compagna Gabriella Seidenfeld» ricorda nel suo libro Una famiglia italiana: «fu l’inizio di un’amicizia che durò una vita».

L’anno successivo alla pubblicazione di Fontamara, Silone si trasferisce alla Germaniastrasse, al civico 53. «Silone abitava da Marcel Fleischmann, il suo mecenate, in una villa che sembrava un museo, con quadri di Modigliani e Picasso. Fleischmann era un ebreo ungherese. Ospitò Silone per ben 10 anni, dal 1934 in poi», ricorda Darina Silone, la moglie dello scrittore, in un’intervista rilasciata molti anni dopo. I due si conoscono nel 1941 in una biblioteca di Zurigo. Lei è irlandese ed è venuta in Svizzera dopo essere stata espulsa dall’ Italia. Si sposeranno tre anni più tardi.

Siamo ormai alla vigilia del secondo conflitto mondiale. Con lo scoppio della guerra, Silone accetta l’invito di assumere la guida del Centro estero del Partito socialista italiano, trasferito dalla Francia a Zurigo. Con questa scelta Silone torna alla vita politica attiva, attirando su di sé le attenzioni delle autorità elvetiche, che, come noto, vietavano ai rifugiati attività di carattere politico. A causa della sua militanza, Silone conosce il carcere nel 1942, anno della pubblicazione del suo terzo romanzo, Il seme sotto la neve, edito in italiano da una piccola casa editrice che aveva contribuito lui stesso a fondare, le Nuove Edizioni di Capolago.

Per la precisione, è il 14 dicembre del 1942 quando viene arrestato insieme ad altri (tra di loro vi era anche Pietro Pellegrini). L’accusa è di svolgere attività comuniste e anarchiche ai danni dello stato elvetico. Il governo svizzero lo condanna all’espulsione. La pena sarà poi commutata in internamento, prima a Davos e in seguito a Baden.Pur in una situazione di non completa libertà, Silone continua la sua battaglia contro il fascismo dalle pagine de «L’Avvenire dei lavoratori», il foglio socialista di lingua italiana con sede a Zurigo, per anni punto di riferimento per l’emigrazione italiana in Svizzera e all’estero. È solo sul finire della guerra che Silone torna in Italia e continua con successo la sua carriera letteraria insieme alla sua missione di intellettuale militante e di socialista democratico dando vita, negli anni successivi, alla rivista «Tempo Presente», fondata nel 1956 con l’amico Nicola Chiaromonte. In tutta la sua esperienza esistenziale in Svizzera si sviluppa, con qualche breve interruzione, per circa quindici anni, dal 1929 al 1944.

Della Svizzera avrebbe conservato un buon ricordo. Lo ha testimoniato lui stesso, in scritti, memorie, conversazioni con amici. Già poco prima del suo ritorno in Italia, nel 1944, ricordando gli anni trascorsi in Svizzera, Silone ammette che Zurigo era diventata per lui una seconda patria: «Qui conto molti buoni amici e là dove sono gli amici, è la vera patria».