Tempo Presente (Supplemento Abruzzo n. 1-2018)
di Angelo G. Sabatini
La pubblicazione della rivista coincise con un periodo della vita di Silone particolarmente complesso. Gli avvenimenti politici lo avevano colto in uno stato di disorientamento e lo avevano proiettato verso la zona grigia dello scetticismo e della diffidenza verso la vita presente dei partiti sempre più distanti dalla matrice ideale della loro legittimità.
Le delusioni cui Silone andò incontro sul versante della politica militante furono certamente espressione della difficoltà dello scrittore abruzzese a muoversi dentro il mondo dei partiti, mondo assai spesso più rispondente a scelte tattico-congiunturali che in coerente sintonia con originari obiettivi ideali e strategici. In forza di tale situazione egli preferì allontanarsene definitivamente non prendendo più tessere di partito. Ma le delusioni non indebolirono alcune convinzioni rimaste nel tempo socialiste e cristiane: la difesa della giustizia sociale, della libertà dell’uomo e della sua centralità nella storia.
Una somma di valori morali e ideali che dovevano uscire dall’intimo della coscienza per essere in qualche modo esposta con gli strumenti già messi a punto nel periodo dell’esilio svizzero: coniugare l’interesse per la politica con la cultura al di là dell’azione dei partiti e nello stesso tempo “critica” verso la crescente partitocrazia.
Qui emergeva la convinzione di Silone di dover promuovere la cultura per sottrarre l’individuo ai condizionamenti del potere, di qualunque natura. Lo dimostrarono le iniziative condotte a Zurigo: “L’avvenire dei lavoratori”, ‘’Le nuove edizioni di Capolago” e la pubblicazione di “L’Europa socialista”.
Nel clima di un dibattito politico-culturale che aveva come riferimento internazionale l’esistenza della contrapposizione USAURSS, Occidente-Oriente, nacque “Tempo presente” che in Italia si collocava dentro e contro l’egemonia di una cultura marxista appiattita nella difesa, prima, e nel difficile distacco, poi, dall’influenza di Mosca.
Per capire quale fosse il ruolo che “Tempo Presente” avrebbe assunto nei 13 anni della sua vita (1956-1968) e la scarsa fortuna che la rivista avrebbe avuto, è opportuno guardare con attenzione alle circostanze storiche che ne determinarono la pubblicazione.
Nel maggio del 1950 a Berlino Ovest, allora avamposto del mondo occidentale nel cuore del mondo comunista sovietizzato, fu organizzato un simposio con la partecipazione di intellettuali di vario orientamento culturale, provenienti da tutto il mondo e accomunati, tuttavia da una scelta chiaramente filooccidentale per non dire esplicitamente anticomunista.
L’occasione era fornita dai festeggiamenti predisposti dal borgomastro della città, Ernst Reuter, per dare risalto alla fine del blocco della città, le cui conseguenze erano state evitate con il “ponte aereo” messo in atto dagli americani. La fine del blocco rappresentava per i berlinesi il recupero della loro libertà di movimento e soprattutto infondeva loro una rinnovata fiducia che non sarebbero stati invasi dalle truppe del Patto di Varsavia.
Le ragioni per festeggiare l’evento erano di grande portata. Era certamente una strumentalizzazione americana di quella ricorrenza in risposta ad una precedente iniziativa dei russi, che, come vedremo, due anni prima avevano organizzato nella cittadina polacca di Wroclaw il Congresso mondiale degli intellettuali per la pace.
La fine della seconda guerra mondiale aveva portato l’Europa ad un forte antagonismo tra le due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica: la “guerra fredda”. Insieme per combattere e abbattere il potere di Hitler, i loro rapporti divennero tesi nello stabilire il controllo del vecchio continente. La corsa agli armamenti divenne lo strumento che uno mostrava all’altro per imporre una superiorità militare, grazie anche allo sviluppo dell’energia atomica per scopi bellici. L’Europa orientale vide nei territori di confine la presenza di un numero imponente di divisioni russe, in grado di far fronte ad un’eventuale aggressione euroamericana. Ad essa il mondo occidentale rispose con la costituzione della NATO (1949) e con il riarmo della Germania Occidentale.
La conseguenza fu la formazione di due sfere di influenze politiche e ideologiche in una contrapposizione così marcata da definire nettamente le strategie militari e le politiche culturali dei Paesi gravitanti nelle rispettive orbite. Le grandi potenze in una pace armata vegliavano sulla vita intellettuale dei Paesi satelliti proteggendoli da infiltrazioni ideologiche e favorendo un tipo di cultura utile alla diffusione dei valori di cui esse si facevano portatrici. Cosicché se gli Stati Uniti si facevano paladini di una democrazia di stampo liberaldemocratico l’URSS propugnava la diffusione di una cultura marx-leninista per la fondazione di una società fortemente comunista. Ma ciò non impediva che nell’Europa occidentale agisse un forte partito comunista e in quella orientale covasse un dissenso che non poteva non sfociare in quella rivolta ungherese che si poneva come simbolo concreto di un anelito alla democrazia.
La difesa dei due sistemi contrapposti non assumeva soltanto l’aspetto di blocchi militari fortemente strutturati, guardinghi nel difendere la spartizione dell’Europa di Yalta concretizzata dal Muro di Berlino, ma alimentava la crescita di iniziative ideologiche culturali atte a costruire la difesa politica delle aree di influenza. Di qui le elargizioni di sostegni finanziari dell’URRS ai partiti comunisti dell’Occidente che li riversava nelle casse di associazioni e riviste di appartenenza e degli Stati Uniti a quelle iniziative programmate in funzione della critica ai totalitarismi di destra e di sinistra. Iniziò la gara a conquistare gli intellettuali che avrebbero dovuto favorire il processo di persuasione della superiorità dell’uno rispetto all’altro, attraverso iniziative culturali di grande respiro (associazioni, convegni e rivista).
Che sul convegno berlinese aleggiassero dunque le simpatie e il sostegno degli americani era scontato, ma questo non sminuì l’importanza del fatto che intellettuali del “mondo libero” si fossero radunati per innalzare un inno alla libertà proprio nel cuore di un mondo in cui questa, dal loro punto di vista, era sistematicamente conculcata. All’iniziativa accorsero molti scrittori, tra i quali alcuni italiani. C’erano Guido Piovene, Ignazio Silone, Aldo Garosci, Altiero Spinelli ed altri.
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Esiste una linea di continuità di “Tempo Presente” con “Europa Socialista” e “L’Avvenire dei lavoratori”. Si tratta di tre iniziative editoriali ispirate in buona parte dalla medesima istanza di rielaborazione della dottrina socialista, dottrina che Silone riteneva dovesse incardinarsi sull’identificazione della battaglia per il socialismo con la battaglia per l’unità europea come garanzia di una politica di pace; sulla complementarietà tra la democrazia politica e la democrazia economica quale espressione di una concezione pluralistica della società; sull’autonomia del socialismo dal comunismo; sulla centralità dell’uomo nelle finalità dell’agire politico, per sottrarlo alle deviazioni indotte dagli ingranaggi del potere politico, economico e burocratico.
Attraverso il filtro della rivista venne meglio in luce una serie di aspetti delle vicende politiche di un’epoca che, per quanto densa di elementi oscuri e contraddittori, segnò il lento passaggio dalla guerra fredda alla coesistenza pacifica, con tutto ciò che comportò in termini di adeguamento politico e culturale nei rispettivi emisferi.
Aldo Garosci, uomo di grande impegno culturale e di alto sentimento morale, ha definito “Tempo Presente” come “la migliore e quasi sola rivista italiana di saggistica e di morale che sia mai esistita”.
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Per quel che riguarda ‘’Tempo Presente” la risposta più persuasiva ai detrattori ci viene da Enzo Forcella, che di quegli eventi fu partecipe avvertito: “Sta di fatto che per tutta la metà degli anni cinquanta, gli anni più glaciali della guerra fredda, l’Associazione per la libertà della cultura è poco più di una sigla. Tutto si riduce ad un paio di convegni e ad una mezza dozzina di opuscoli con testi di Piovene, Montale, Brancati, Mann, Malraux e dello stesso Silone (i due famosi saggi Uscita di sicurezza e La scelta dei compagni). Cultura tanta, e sempre di buona lega; propaganda, almeno nell’accezione più comune e dispregiativa del termine, niente.
Quanto ai canali attraverso i quali arrivavano gli aiuti, il chiasso che si sta facendo sul coinvolgimento della CIA mi sembra francamente anacronistico e tartufesco…. Non è un dato ormai storicamente acquisito che americani e sovietici sono intervenuti in mille modi, anche economici, nelle vicende italiane dell’epoca? […] Sembra che lo stesso Silone, secondo una delle testimonianze emerse in questi giorni, ne fosse all’oscuro e avrebbe appreso solo nel maggio 1967 che i fondi per l’Associazione per la libertà della cultura venivano dalla famigerata CIA. ‘Nel passato – scrive Silone – noi abbiamo sempre respinto con indignazione ogni sospetto del genere’. Può darsi, non ho alcun elemento per mettere in dubbio la sorpresa di Silone. Però non era un ingenuo, sapeva bene a quali bassezze solevano ricorrere i comunisti quando volevano distruggere un avversario. Ma ha poco senso chiedersi, come ci si è chiesto, quali furono i rapporti tra la propaganda americana e il gruppo di lavoro intellettuale riunito attorno alla rivista. La risposta sta già intera nelle annate della rivista. Basta sfogliarle”. (E. Forcella, Silone e la CIA? Non fatene un caso, in “La Repubblica”).
Per chiarire in maniera più puntuale quali fossero i rapporti tra alcune iniziative editoriali europee e finanziatori più o meno occulti, e dunque, per inquadrare sia pure indirettamente, la vicenda di “Tempo Presente” nel più vasto processo di demonizzazione di Silone da parte della stampa filocomunista, appare utile riportare uno stralcio di un articolo di Alberto Arbasino, apparso nello stesso numero di “Repubblica”, che, ricorrendo ad uno stile nutrito di ironia e di sarcasmo, non mancò però l’obiettivo, anche lui come Enzo Forcella, di riportare la questione del finanziamento alle riviste culturali da parte delle grandi potenze alle giuste proporzioni: “E quando poco dopo apparvero i mensili “Tempo Presente”, “Encounter” in Inghilterra, “Preuves” in Francia, “Der Monat” in Germania, col formato e la grafica uniforme dell’ “Associazione per la libertà della cultura” – in tempi di guerra fredda, con le grandi firme dell’antistalinismo, e niente pubblicità – chi mai avrà pagato l’affitto delle redazioni? Come nel caso del “Paese Sera” (giornale quotidiano della capitale ad indirizzo scandalistico formalmente qualificato come indipendente di sinistra ed in realtà per disegno fiancheggiatore del PCI) chiunque sapeva cosa comprava, anche se non veniva stampato sotto la testata. Nel caso di “Tempo Presente” di Silone, poi, la gestione di Nicola Chiaromonte assicurava un elegante mix “liberal” e “radical” fra il meglio della Partizan Review – con Borges e Milosz e Koestler fra la A di Arendt e Aron e la Z di Zanzotto e Zolla – e semmai fin troppe domande agli intellettuali tipo “Nuovi argomenti” e “Rinascita”. (“Era la mania di quegli anni, ci cascavano quasi tutti, e anche per questo volendo oggi sputtanare un solone col ridicolo basta ripescare cosa si lasciò sfuggire in qualche eccesso di vanità. Ma era un servizio –qualche eccesso culturale…” (A. Arbasino, Le sovvenzioni alle riviste di cultura non erano per niente un mistero. Se il dietrologo fa un passo indietro, “La Repubblica”).
Nel 1996 Enzo Bettiza tornerà sulla questione manifestando un sincero apprezzamento per il ruolo svolto dalla rivista sia a livello culturale che per la diffusione di messaggi di libertà e di autonomia in tutte le direzioni. Bettiza sottolinea il carattere eretico della rivista rispetto al panorama della cultura italiana di allora, incline più al conformismo filo e criptocomunista che all’autonomia. “Se è ben vero – dice Bettiza – che “Il Mondo” di Mario Pannunzio rappresentò anch’esso una voce dissonante fuori dal coro di orgiastici e proni cantori a tutto campo, le ascendenze idealistico-crociane tuttavia non lo identificavano come una rabbiosa tribuna da abbattere, per cui non fu contro “Il Mondo” che si appuntarono gli strali della cultura conformista; più pericolosa era infatti “Tempo Presente” in quanto le sue critiche al comunismo in nome della libertà provenivano da chi quelle convinzioni le aveva maturate a suo tempo nelle viscere stesse del comunismo marxista e staliniano, e che proprio per averlo conosciuto se ne era definitiva-mente allontanato. Da quella rivista avanzava dunque il massimo pericolo poiché in una certa misura criticava dal di dentro”.
La rivista non ebbe, come ricorda Enzo Bettiza, vita facile, ma i suoi due condirettori non ammainarono mai la bandiera dei loro convincimenti libertari e liberali, né cedettero di un passo: “Non si dimentichi che quella presunta cultura era allora dominata dalla petulante egemonia gramsciana del PCI, dalle astute contorsioni sartriane di “Nuovi Argomenti”. “Tempo Presente” era come un’oasi nel deserto rosso dell’epoca: un’oasi assediata e vituperata proprio da coloro che oggi, cospargendosi il capo di cenere, riscoprono il nerbo morale della figura di Silone (…). La fertile solitudine della rivista siloniana (…) immergeva le sue radici nel socialismo liberale di Andrea Caffi, nella religiosità post moderna di Simone Weil, nell’esistenzialismo tormentato di Albert Camus. Rifiutava tutto ciò che sapeva di sistema e di cattedra. (…) Niente tabù intoccabili quindi nelle pagine e nei saggi di “Tempo Presente”, nessuna considera-zione servile per il nuovo Principe di Gramsci, per lo spirito universale di Hegel, per il Proletario teologico di Marx. (…) L’anticomunismo di Silone e di Chiaromonte sembrava già preannunciare dall’interno del 1956 la catarsi antitotalitaria del 1989. (…) Ebbene c’è da stupire se una rivista cosi asimmetrica rispetto ai tempi e ai ritmi morti della malafede, cosi allergica ai principi e ai loro portaborse, venne costretta quasi alla clandestinità e all’esilio in patria da una pseudocultura avvitata nel progressismo di maniera di “Nuovi Argomenti” e nello zdanovismo saccente e addottorato di ‘’Rinascita”? C’è da stupirsi se i condirettori furono bollati come due lebbrosi contagiati dalla CIA, e quindi messi e tenuti in quarantena, anche dopo la morte, nell’anonimo lazzaretto destinato una volta agli anticomunisti rabbiosi e viscerali?” (Bettiza, Né Croce né Gramsci, né servi dei principi, in “Panorama,” 5/12/96 n. 17).
Il senso, in generale, delle critiche rivolte a Silone e a “Tempo Presente” è certamente da rintracciare in un clima di contrapposizione in cui gli attori principali culturalmente tentavano di venir fuori da una eredità del marxismo che storicamente aveva subito una deviazione. Si cercava di estrarre dal comunismo la linfa di un socialismo dal volto umano, evitando di buttare a mare il bambino con l’acqua sporca. Un progetto reso difficile dalla necessità per i contendenti di dover prendere posizioni nette perché netta era la situazione politica internazionale. Alcuni tentavano di non disconoscere il significato che l’URSS aveva rappresentato per il socialismo, nonostante le degenerazioni in cui era caduta, mentre per altri era evidente che il progresso civile e l’avvenire del mondo nuovo era nell’Occidente, nella sua tradizione democratica rappresentata, pur nelle contraddizioni, dall’America.
Ora sul piano della libertà e dell’autonomia della cultura e del concetto di democrazia politica in generale, non v’è dubbio che Silone considerasse, a ragione, l’Occidente come l’emisfero dove questi valori godevano di più consolidate tradizioni rispetto alla Russia di Stalin e che, pertanto, si trovasse culturalmente più a suo agio al convegno di Berlino Ovest che non a quello di Wroclaw. Ma ciò non comportò per lui nessuna scelta di schieramento né una identificazione con la politica di grande potenza praticata dagli Stati Uniti. Lo sbilanciamento, che pure vi fu, in senso anticomunista rilevabile negli editoriali di Silone è addebitabile al fatto che tutto lo sviluppo dello stalinismo e del post-stalinismo in Russia, in Italia e nel mondo stava lì a confermare quanto fosse giusto il convincimento di Silone che i maggiori pericoli per la libertà della cultura e per la democrazia venissero dall’Est piuttosto che dall’Ovest.
Dunque, equidistanza sì, ma senza sottrarsi al dovere di calarla all’interno di realistiche valutazioni delle situazioni in atto nei singoli paesi.
Furono gli eventi stessi dell’Europa orientale a determinare in lui un impegno più ravvicinato nella denuncia dei soprusi ivi perpetrati; ed il volto bonario di Krusciov, ad esempio, non riuscì certamente a mascherare ai suoi occhi le verità sui crimini di cui si macchiò il comunismo sovietico durante la repressione della ricordata rivolta ungherese del ‘56.
La rivista veniva edita in Italia quando in Italia operava il più forte partito comunista europeo e risultava difficile far emergere il vero volto del comunismo sovietico. Sottoposto ad una sistematica opera di manipolazione ideologica. Il PCI stentava a sciogliere il legame mortale con l’URSS, nonostante l’avvento di Krusciov. E ciò contribuì a rendere difficili i rapporti nella sinistra italiana, dove il PSI non riusciva a imboccare la strada dell’autonomia dal PCI, nella prospettiva della riunificazione con il PSDI di Saragat.
Per l’intellettuale abruzzese, in un momento tanto critico per la democrazia, fare chiarezza sul reale volto del comunismo e sulla politica estera sovietica costituiva un impegno politico e culturale di forte necessità. Va comunque ribadito che il lavoro intellettuale di Silone non fu indirizzato esclusivamente contro il comunismo sovietico; esso esercitava la forza della sua critica anche contro le degenerazioni del capitalismo e del mondo americano con il suo spirito imperialistico. Ha ribadito questo carattere dell’azione intellettuale di Silone Luce d’Eramo: “Per quanto concerne ‘’Tempo Presente”, questo periodico ha criticato a più riprese gli Stati Uniti, conducendo una ferma campagna contro il maccartismo, denunciando vigorosamente l’aggressione del Vietnam, attaccando le discriminazioni razziali, stigmatizzando di volta in volta le manifestazioni dell’imperialismo americano anche nei confronti dell’America Latina”. (L. d’Eramo, L’opera di Ignazio Silone, Mondadori, Milano 1971, p. 538).
Lo spirito di autonomia di Silone era tale da generare non pochi fastidi alla direzione centrale di Parigi. Silone era insofferente ad ogni forma di imposizione gerarchica; credeva fortemente nel progetto e nelle persone che erano chiamate a sostenerlo, primo fra tutti quel Nicola Chiaromonte, che egli aveva voluto al suo fianco, malgrado le divergenze d’opinione.
La natura dei rapporti fra Silone e Chiaromonte si richiamava ai limiti caratteriali dei due scrittori, limiti che non impediva ai due di collaborare lealmente nella gestione della direzione della rivista. Tutti erano a conoscenza dell’esistenza di un profondo e reciproco legame di amicizia fra i due, anche lì dove potevano nascere valutazioni differenti nell’analisi degli avvenimenti politici. Dell’affetto e della stima che Chiaromonte nutriva per Silone si hanno tracce nel saggio “Silone il rustico”, contenuto nel volume Il tarlo della coscienza, raccolta di scritti e di saggi (Il Mulino, 1992).
Circa il problema del reperimento dei fondi va ricordato che esso venne risolto in modo trasparente, anche con l’autofinanziamento. Nel “Commiato” ai lettori di “Tempo Presente”, nel numero di novembre-dicembre 1968, si confessa tuttavia che anche “grazie all’aiuto finanziario dell’Associazione internazionale per la libertà della cultura e della Fondazione Ford” fu possibile pubblicare e distribuire la rivista. In esso i due condirettori, insieme alla redazione di “Tempo Presente”, espongono con amarezza le cause che li hanno costretti a interrompere definitivamente la pubblica-zione della rivista: “Durante tutti questi anni [e furono tredici] abbiamo fatto vari tentativi per trovare un editore dotato di una larga rete di distribuzione il quale volesse assumersi l’onere della rivista. Tali tentativi sono risultati vani. Abbiamo dovuto constatare per conto nostro un fatto ormai noto per vicende di altre pubblicazioni, e cioè che la situazione dell’editoria italiana è tale che un editore non ha interesse a occuparsi di periodici i quali non promettano una diffusione di massa. A parte questa, non esiste in Italia per una rivista di cultura altra alternativa, salvo quella di esser tutelata o da un partito politico o da un ente economico. Così stando le cose, ci troviamo costretti a sospendere le pubblicazioni”.
Il caso di Silone e di “Tempo Presente” è esemplare nell’affermazione del non condizionamento dell’attività editoriale dai finanziamenti ricevuti tramite la Fondazione Ford. L’asprezza con cui in Italia venne avanzata l’accusa di condizionamento era dettata più dall’avversione per l’uomo Silone, considerato da una certa cultura politica un traditore, che non dall’effettivo asservimento della Rivista alla CIA.