Il Messaggero Abruzzo 30 aprile 2022
di Antonio Gasbarrini
Ignazio Silone aveva una indiscussa competenza in materia di arte moderna e contemporanea. Né era da meno sul più che familiare versante letterario. Ecco perché, nel Primo Maggio del 122esimo anniversario della sua nascita, ci piace ricordarlo sotto un’angolazione pressoché sconosciuta.
Qui centrata particolarmente sui rapporti intercorsi, sul finire del 1938 e mentre era in esilio a Zurigo, con Trotsky e Breton. Ma, andiamo con ordine. Quando quest’ultimo nel 1924 a Parigi lancia il suo celeberrimo “Manifeste du surréalisme”, il giovane rivoluzionario pescinese è nella stessa città, dove è redattore, su incarico del PCd’I, del settimanale “La Riscossa”. Tra arresti ed espulsioni (settembre del ‘25), nonché frenetici spostamenti in clandestinità in vari Stati europei, lo ritroveremo tre anni dopo nella capitale francese. “Fontamara” vedrà la luce in Svizzera (dove viveva in esilio), in lingua tedesca nel 1933, mentre l’anno successivo sarà la volta, sempre nella stessa lingua, del racconto “Un viaggio a Parigi”. Dello stesso, Luce d’Eremo – la più accreditata critica e biografa siloniana – dà una interpretazione attestata sul versante espressivo della satira. A nostro parere, invece, lo strambo viaggio del fontamarese Beniamino nascosto dentro una gabbia per cani posta in un vagone del treno, è, per l’onirico dipanarsi delle erotiche o infernali visioni sospese tra realtà e sogno, surreale al cento per cento. Un Surrealismo, quello del Silone ai suoi esordi narrativi, in perfetta assonanza con i postulati creativi fissati nel Manifesto. E ben lo attestano queste ed altre corpose righe attraversate da minacciosi incubi: “Un grosso serpente si attorcigliava a una velocità incredibile lungo il treno. Assomigliava esattamente a un binario, ma in realtà era proprio un serpente. Ma come aveva potuto immaginare che Beniamino era nascosto sul treno? Non si capiva come quello scaltro animale lo avesse saputo. Che voleva da lui quel maledetto serpente?”. Quanto alla triangolazione Trotsky (tra i suoi primi entusiasti recensori di “ Fontamara”) Breton e Silone, la stessa va collegata all’antistaliniano Manifesto “Per un’Arte Rivoluzionaria indipendente”, redatto in Messico dai primi due. Subito inoltratogli, dopo il rientro di Breton a Parigi, per la controfirma dello stesso e l’adesione alla costituenda Federazione Internazionale. Cosa che puntualmente avvenne. L’apporto dello scrittore abruzzese figurerà, inoltre, nel bollettino “Clé” (1939) e nella pubblicazione “Arte Ciencia y Libertate”, accanto a quelli dello stesso Breton ed altri (1954). Quanto all’arte, oltre ad aver ricevuto la collaborazione, in qualità di direttore della rivista “information” (1931-1933), di alcuni esponenti di spicco del Bauhaus come un Max Bill, va anche rilevata una sua particolare attenzione per quella sacra (riletta però nella modernizzante versione d’un Rouault). In proposito vale inoltre la pena di ricordare – come ha opportunamente fatto il collega Angelo De Nicola nel suo recente libro “Dante, Silone e la Perdonanza” – che durante uno dei suoi numerosi accessi a L’Aquila finalizzati alla ricerca storica delle tracce documentali riguardanti la duale figura Pietro del Morrone-Celestino V eternata poi ne “L’avventura di un povero Cristiano”, avesse particolarmente apprezzato la modernità dei Simulacri brindisiani: “[…] Manifestazioni cospicue della tradizione sono le processioni religiose, specialmente quella del Venerdì Santo (di particolare solennità le liturgie di Chieti, Lanciano, Vasto). Quella di Aquila merita di esser ricordata perché è l’unica rievocazione della Passione con simulacri e simboli creati da artisti contemporanei […]”.