L’inossidabile patto d’amore tra la città di Zurigo e Ignazio Silone

Il Messaggero Abruzzo (2 dicembre 2020)

di Antonio Gasbarrini

Senza il suo intenso vissuto in Svizzera (1929-1944), da dove darà l’estremo saluto in una clinica ginevrina nel 1978, il rivoluzionario Secondino Tranquilli che lì si era rifugiato per sfuggire dalle  grinfie della dittatura fascista, non sarebbe mai diventato lo scrittore Ignazio Silone tuttora letto e riletto in ogni parte del globo.

E sarà proprio nella città di Zurigo che, per celebrare al meglio i 120 anni dalla nascita, si terrà il 4 e 5 dicembre un Convegno per via telematica aperta al pubblico, con relazioni spazianti “dalla sua attività di scrittore al suo impegno politico, al suo profilo storico e intellettuale, fino all’esame di documenti d’archivio inediti”. In molti passi dei suoi scritti autobiografici o nella vastissima corrispondenza avuta in quegli stessi anni zurighesi, si possono leggere i momenti più drammatici della sua esistenza (incarceramenti, continui ricoveri in vari sanatori, morte del fratello Romolo nelle carceri fasciste di Procida e acuto stato d’indigenza, dolorosamente ripercorsi, in particolare, nel “Memoriale dal carcere svizzero” ), ma anche i più esaltanti. Quali sono stati i legami amorosi intessuti con le sue tre “femmes fatales” (Gabriella Seidenfeld,  Aline Valangin e  Darina Laracy) ed i rapporti amicali lì stretti con grandissimi altri rifugiati politici, del calibro degli scrittori Musil e Mann od altri intellettuali ed artisti come un Max Bill con i quali fonderà e dirigerà per un paio d’anni la rivista culturale “information”. Ma, sarà dopo il successo internazionale conseguito con “Fontamara” uscito nel 1933, sempre a Zurigo ed in lingua tedesca – così come avverrà per le prime edizioni degli altri romanzi, racconti e saggi pubblicati durante l’esilio (in ordine cronologico: “Il Fascismo. Origine e sviluppo”, “Pane e vino”, “La scuola dei dittatori”, “Il seme sotto la neve”, “Ed egli si nascose”) -, che a mano a mano l’attività creativa sarà affiancata da un rinnovato impegno politico dopo l’irreversibile crisi ideologica della sua decennale militanza comunista (1921-1931). Impegno sfociato agli inizi degli Anni  quaranta, nella sua direzione del clandestino “Centro estero del Partito Socialista Italiano”, ma, di fatto, già intrapreso  nelle parallele attività editoriali gestite in prima persona insieme a Egidio Reale (“Le nuove edizioni di Capolago”) o nella direzione, nell’ultimo scorcio della sua permanenza nella città elvetica, della testata socialista “L’avvenire dei lavoratori”.  Da rilevare, ancora, la sua salvezza psicologica ed esistenziale nella città, conseguita grazie alla generosa ospitalità accordatagli per oltre un decennio dal mecenate-amico Marcel Fleischmann nella sua villa alla Germanstrasse 53, rapporto recentemente indagato nella fitta corrispondenza intercorsa tra i due nel libro “Ignazio Silone e Marcel Fleischmann. Amicizia e Libertà” di Maria Nicolai Paynter. Proprio in queste pagine è possibile imbattersi in uno straordinario, inedito scritto siloniano, rubricabile alla stregua di un autentico “Inno alla Libertà”. Cantato a squarciagola da dietro le sbarre di una cella da chi, anche se recluso, non ha abdicato alla sua missione del rivoluzionario “full- time”, rigeneratosi poi nella duplice veste dello scrittore e del franco tiratore: “ […] Quattro muri di pietra escludono il mondo. Tu sei in prigione. La ragione è molto semplice. Tu sei la personificazione di qualcosa di più formidabile che mille divisioni di Panzer: la libertà dello spirito diventato nel frattempo franco tiratore.  […] Tu non puoi vedere il cielo e il lago fusi nella foschia, ma l’universo del tuo spirito è senza orizzonte. Per un essere libero, essere in prigione non esiste. […]”.