Tempo Presente (Supplemento Abruzzo n. 1-2018)
di Angelo De Nicola
Sicchè, la Arnaldi si chiede: «A questo punto, sorgono spontanee alcune domande: chi è l’uomo di Silone? Chi è Celestino? Qual è il senso ultimo della sua, della nostra avventura? Se l’etica si configura come orizzonte specifico della condotta dell’uomo e forza di orientamento nelle scelte individuali, è credibile ipotizzare l’esistenza di una possibile morale siloniana che avrebbe fondamento in alcune figure filosofiche elementari estraibili dalla stessa pagina letteraria? Probabilmente, la risposta è affermativa, ma la ricerca risulta tanto più ardua quanto più si considerano da un lato il serrato “anti-ideologismo” dell’autore e, dall’altro, la piena consapevolezza che la parola letteraria è di per sé stessa sciolta da ogni vincolo dottrinale e quindi libera»[iii].
Chi è, dunque, Celestino-Silone?
Celestino-Silone è «uno per il quale il potere è un servizio»
La definizione, riferita a Pietro l’Eremita, l’ha data Padre Quirino Salomone, esperto di cose celestiniane, uno di quei controversi sacerdoti che sarebbero stati bene nella bacheca dei preti siloniani così ben descritta dalla Fiorelli[iv] la quale, tra l’altro, scrive: «Nella prima versione di L’avventura d’un povero cristiano, il drammatico incontro fra Celestino e Bonifacio VIII terminava in modo crudele: Pietro da Morrone, moriva con il cranio sfondato[v]. La scelta fu attenuata con la sola prigionia. Proprio durante la prima rappresentazione, a Trieste, Silone parlò con un amico dell’alta spiritualità e della fragilità di Paolo VI, che egli apprezzava moltissimo»[vi].
Paolo VI, appunto. Il primo rappresentante ufficiale della Chiesa a parlare di “eroe”, dopo quasi sette secoli di “damnatio memoriae” dell’Eremita (nessun Pontefice ha più ripreso il nome di Celestino la cui dinastia, da 722 anni, è ferma al Nostro), è proprio Papa Paolo VI. Durante il suo pontificato, Giovambattista Montini visitò, il primo settembre del 1966, la prigione di Celestino V a Fumone, il “piccolo santuario” come lui stesso la definì visto anche che conserva tra le reliquie un pezzetto del cuore ed un dente del santo del Morrone. In quell’occasione tenne un importante discorso[vii]. Venne anche scoperta, per l’occasione, una targa in cui si parla di un Celestino V quale “recluso in queste storiche mura” (altro che ospite di Bonifacio VIII!), che salvò “con l’eroica rinuncia, con la prigionia e con la morte, l’unità della Chiesa” (eroe, altro che vile!). Parola di Papa.
Trentaquattro anni dopo, un altro Papa parla del «coraggio di Celestino V». E’ Benedetto XVI che, “complice” forse il sisma del 6 aprile che ha martoriato L’Aquila, ha lanciato una sorta di operazione di riabilitazione della figura dell’Eremita del Morrone. Chiare le parole di Benedetto XVI nella visita del 4 luglio 2010 a Sulmona in occasione dei festeggiamenti per gli ottocento anni della nascita dell’Eremita: «Egli seppe agire secondo coscienza, perciò senza paura e con grande coraggio, anche nei momenti difficili, come quelli legati al suo breve pontificato, non temendo di perdere la propria dignità, ma sapendo che questa consiste nell’essere nella verità. E il garante della verità è Dio. Chi segue Lui non ha paura nemmeno di rinunciare a se stesso, alla sua propria idea, perché “chi ha Dio, nulla gli manca”, come diceva santa Teresa d’Avila»[viii]. Parole che tirano fuori, finalmente, dalle secche della Storia la figura di Celestino V.
Per oltre sette secoli, il “vigliacco Celestino”, il “cafone” Celestino è stato ai margini della Storia.
Celestino-Silone è un uomo che crede in un’utopia
Scrive Achille Occhetto, l’ex segretario dell’ex Pci protagonista della storica svolta della Bolognina: «Il “gran rifiuto” fu un rifiuto grande: nel senso di un atto importante, come quando si dice “sei stato grande”; insomma, una scelta alta dal punto di vista spirituale, coraggiosa sotto il profilo umano, esemplare dinnanzi alle trame della macchina del potere.
«Passeggiavo davanti alla singolare Basilica di Santa Maria di Collemaggio, dove alcuni secoli fa era stato incoronato papa Celestino V, quello che per Dante, forse nel giudizio più errato di tutta la Divina commedia, “fece per viltà il gran rifiuto”. Fu allora che, spinto anche dalla affezionata considerazione di cui quel monaco coraggioso gode da parte della popolazione dell’Aquila, ancora offesa per quel severo e ingiusto giudizio, mi venne fortissimo il desiderio di scrivere qualcosa che lo riabilitasse. Sennonché, incominciate le prime ricerche nella biblioteca locale, mi imbattei subito in alcuni testi che mi rivelarono che quella mia intenzione era già stata perseguita, non a caso, da Ignazio Silone (…). Si trattava dell’Avventura di un povero cristiano di Ignazio Silone, un dramma teatrale sull’esemplare figura dell’eremita fra’ Pietro Angelerio del Morrone, incoronato pontefice nel 1294 con il nome di Celestino V. Una figura emblematica che, con la propria repentina rinuncia al trono pontificio, ci indica il comportamento da tenere dinanzi all’impossibilità di conciliare i propri principi con il dovere del potere»[ix].
Ha scritto la Biondi, che molto ha indagato sui rapporti tra i Nostri due: «Nel Celestino di Silone tradizione storica e testimonianza autobiografica si compenetrano e si fondono come analoga “lotta per lo spazio di libertà da strappare al Potere”»[x].
Celestino-Silone è «un uomo di pace»
Il perdono è l’anticamera della Pace. Se due individui (due Stati, due religioni, due ideologie…) litigano, se non si perdonano reciprocamente, la pace non la faranno mai. La “scoperta” è di Celestino ma Silone l’ha rilanciata proprio nell’Avventura d’un povero cristiano.
Scrive Silone che le stranezze di Celestino si moltiplicano fino al rifiuto di benedire la guerra. Dinanzi alla richiesta urgente del vescovo dei Marsi di un privilegio alla nuova chiesa di Santa Maria della Vittoria, a Scurcola Marsicana, Celestino V sbotta: “Santa Maria della Vittoria? Di quale vittoria si rende onore alla Madre di Dio?”. All’aiutante del re che lo invita a benedire le truppe in partenza per la guerra risponde con fermezza: “Ve lo ripeto una volta per sempre: non posso benedire alcuna impresa di guerra”. E aggiunge: “Col segno della Croce e i nomi della Trinità, si può benedire il pane, la minestra, l’olio, l’acqua, il vino, se volete anche gli strumenti da lavoro, l’aratro, la zappa del contadino, la pialla del falegname, non le armi. Se avete bisogno di un rito propiziatorio, cercatevi qualcuno che lo faccia nel nome di Satana. E’ stato lui a inventare le armi”.
Celestino-Silone è un uomo, come noi
Fa dire Silone a Celestino: «Diletti figli, anche quelli che non mi conoscono di persona, sanno che non debbono aspettarsi da me una lezione di oratoria sacra. So che un’arte simile esiste, con regole e modelli; ma, ve lo confesso umilmente, io non l’ho studiata, mentre ho sentito dire che alcuni di voi sono in essa espertissimi e addirittura celebri. Tenete anche conto che per molti anni ho fatto vita eremitica, che è un genere di vita in cui si parla poco. Mi intratterrò dunque con voi alla buona, da padre a figli, e in anticipo vi chiedo scusa se sarò noioso, come spesso lo è il padre che parla a figli più istruiti di lui. Mi limiterò pertanto a due sole raccomandazioni. Devo anzitutto dirvi: nel predicare, se vi è possibile, cercate di essere semplici. Ah, so bene che non è facile parlare con semplicità. Per riuscirvi sarebbe necessario, questo va da sé, di essere interiormente semplici, e la vera semplicità è una conquista assai difficile. L’intera esistenza d’un cristiano, si può dire, ha appunto questo scopo: diventare semplice. (Mormorio) Ma se la semplicità non è ancora per qualcuno di voi un dono meritato, egli faccia almeno lo sforzo di ottenerla nel modo di esprimersi. Scrive Silone: «Il mio modo di scrivere diventò il mio modo di vivere e di lottare. I miei libri sono il resoconto dell’incertezza, delle difficoltà, dei successi, della vittoria della mia anima (…). Il valore dei miei libri è essenzialmente quello di una testimonianza umana; vi sono delle pagine… che sono state scritte col sangue»[xi].
E soprattutto Silone scrive: «In questo senso ogni arte comprensibile è cristiana, cioè tesse il dialogo tra l’io e gli altri. La regola cristiana di riconoscersi nell’altro è certo uno dei valori fondamentali della vita, forse non il solo né l’estremo, ma è uno di quei valori visibili: insomma, è già una risposta, non è solo una domanda. Mi attengo a quel valore; già per mia natura io non odiai mai nessun, non odiai Mussolini pur combattendolo e non odiai Togliatti che mi combatté. Ma ora, con l’età avanzata, vado sempre più avvicinandomi a una comprensione per tutti, e forse è già un approccio all’amore e alla morte»[xii].
[i] C. MARABINI, Introduzione, in I. Silone, L’avventura d’un povero cristiano, Oscar Mondadori, Milano 2008, p. XI.
[ii] G. FERRONI, Una riflessione antipolitica sulla politica, in A. Forbice (a cura di), Silone la libertà, pp.76-84.
[iii] M. ARNALDI, Ignazio Silone o la passione morale, Corso di alta formazione sull’Umanesimo cristiano, anno 2010.
[iv] M.V. FIORELLI, I preti di Silone: la figura del sacerdote nella vita e nelle opere dello scrittore marsicano, Guaraldi/Gu.Fo. Edizioni, 2000.
[v] Sull’ipotesi dell’assassinio, una sintesi delle posizioni è contenuta in A.DE NICOLA, Il Mito di Celestino, One Group Edizioni L’Aquila 2010, pagg. 77-96.
[vi] M.V. FIORELLI, I preti di Silone: la figura del sacerdote nella vita e nelle opere dello scrittore marsicano, Guaraldi/ Gu.Fo. Edizioni, 2000, pag. 57.
[vii] PAPA PAOLO VI, Omaggio di Paolo VI a San Celestino V, www.vatican.va.
[viii] PAPA BENEDETTO XVI, Discorso ai giovani, www.vatican.va.
[ix] A. OCCHETTO, Potere e Antipotere, Prefazione di Gore Vidal Fazi Editore 2006.
[x] L. BIONDI, La figura di Celestino V negli scritti di Silone in Vola– L’Aquila, 28 agosto 2011.
[xi] I. SILONE, Memoriale dal carcere svizzero, 1979.
[xii] I. SILONE, Credere senza obbedire, 1972.