DICEMBRE 2015
Tempo Presente (n. 420 dicembre 2015)
di Antonio Gasbarrini
- L’informatore Silone ed mediatici scoop degli storici Dario Biocca e Mario Canali
L’accanimento terapeutico a suon di cadenzati, mediatici scoop[1] con cui i due storici Dario Biocca e Mauro Canali hanno tentato di demolire – da una ventina d’anni in qua – la figura umana, politica, intellettuale (e, di riflesso letteraria) d’Ignazio Silone, sembra giunto finalmente al capolinea. Per merito di altri storici e studiosi che hanno contestato spesso alla radice la loro approssimativa, arbitraria quanto romanzata ricostruzione circa la vita privata e militante di Secondino Tranquilli alias Ignazio Silone (su tutti Giuseppe Tamburrano, Mimmo Franzinelli, Giorgio Soave, Bruno Falcetto, Aldo Forbice, Massimo Teodori, Angelo G. Sabatini e tanti, tanti altri).
Il più recente ridimensionamento del loro tremendo, ma rabberciato J‘Accuse !!! – restituendo la giusta voce ai documenti giacenti nell’Archivio Centrale dello Stato a Roma, puntigliosamente reinterpretati o scovati ex novo sotto una luce più consona ad una ricerca storiografica scientificamente attendibile – lo ha determinato l’avvincente libro Le false accuse contro Silone[2] di Alberto Vacca uscito circa un anno fa per i tipi di Guerini e Associati.
Che lo studioso sardo abbia colpito nel segno lo dimostra, a nostro modo di vedere, il claustrale silenzio da cui è stata avvolta la sua “controricerca”: perfetto pendant di quella a suo tempo condotta da Giuseppe Tamburrano, coadiuvato da Gianna Granati e Alfonso Isinelli, sfociata nella pubblicazione di due fondamentali libri[3] assai utili per comprendere, appunto, tutta la montatura mediatica ruotante attorno al nuovo “caso Silone”, via via ingigantita sul nulla.
I due loquaci storici Biocca e Canali, nonché i vari sodali, pronti a rintuzzare all’istante questa o quella obiezione mossa alle informative delatorie inoltrate al commissario Guido Bellone negli anni Venti da Berlino, Parigi, Madrid o altre città svizzere, sbrigativamente attribuite al “finto rivoluzionario” ed a loro detta infiltrato dalla Polizia nelle fila del Partito Socialista sin dal 1919, ora tacciono.
Ebbene, stando alle più che fondate argomentazioni di Vacca, la stragrande maggioranza di quei rapporti spionistici pervenuti alla Questura romana prima e alla famigerata OVRA poi, non sono riconducibili – per il periodo 1923/1927 – al “rivoluzionario” Tranquilli dai cangianti nomi di battaglia (Silvestri incluso, ne parleremo più avanti), bensì ad un ben altro eclettico personaggio: l’ingegnere Alberto Quaglino, decennale spia prezzolata, meglio rubricata con 300 HP.
L’indimostrabile e non dimostrato teorema dei due storici poggiava su questo fabulatorio assunto: concordanza cronologica e topologica tra le delatorie soffiate ed i frenetici spostamenti del giovane rivoluzionario pescinese – giunto ai vertici decisionali del Pcd’I – tra uno Stato e l’altro d’Europa, peraltro frequentemente arrestato a causa della sua attività sovversiva (Trieste fine 1922, Madrid gennaio 1924, Parigi luglio 1925).
Ecco quanto scrive Mauro Canali in proposito, a sostegno delle 25 informative pervenute a Bellone nella quasi totalità da Berlino (dagli inizi di gennaio al novembre 1923), riportate a “corredo accusatorio” nella I Parte del volume L’informatore Silone, i comunisti e la polizia uscito a quattro mani con Dario Biocca 16 anni fa): «È bene tornare su un elemento che finisce per svolgere un ruolo importante nella identificazione dell’informatore, e cioè l’assoluta e provata coincidenza in termini di tempi e luoghi tra le relazioni fiduciarie e gli spostamenti del Tranquilli. […] Ma l’occasione dell’inequivocabile disvelamento del ruolo fiduciario svolto dal giovane rivoluzionario abruzzese giunge quando agli inizi del gennaio 1923, egli si stacca dall’ambiente romano e si trasferisce prima a Berlino e, successivamente, in Spagna. Infatti, prima di allora mai era giunta all’ufficio politico della Questura romana alcuna relazione fiduciaria proveniente da Berlino»[4] [il corsivo è nostro].
Questa apodittica, quanto gratuita affermazione, è stata annullata da Vacca grazie al reperimento di inediti documenti che ricostruiscono per la prima volta il non secondario ruolo spionistico svolto da Quaglino in quel terribile, insanguinato decennio fascista: «Roma, 5 settembre 1922 Regia Questura Roma Ill. / mo Sig. Prefetto Direzione Generale P. S. Roma
Sono giunte notizie da Berlino [il corsivo è nostro] sul movimento dei comunisti italiani colà rifugiati che hanno un certo interesse e che credo sia opportuno far conoscere. Detta organizzazione in questi ultimi mesi ha subito alcune modificazioni. Ora si divide in tre rami principali che hanno per iscopo:
- a) uno il collegamento fra Mosca e Roma,
- b) un secondo il contributo diretto alla preparazione di azioni illegali in Italia,
- c) e il terzo, il soccorso agli emigrati italiani ricercati dalla polizia italiana. […]»[5].
- 2. Le informative della spia Alfredo Quaglino (attribuite erroneamente a Silone)
Annota opportunamente l’autore di Le false accuse contro Silone: «La lettera dimostra che la questura di Roma, a decorrere dal settembre 1922, cominciò a ricevere informazioni fiduciarie da Berlino dove, evidentemente, si era recato un informatore, molto prima dell’arrivo di Silone nella capitale tedesca, che avvenne nel gennaio del 1923. A questo punto bisogna precisare che a partire dal novembre 1922, cominciò a informare la polizia, sull’attività dei comunisti e anche su quella degli anarchici, un fiduciario a cui la DGPS attribuì lo pseudonimo di 300 HP, corrispondente al nome di Alfredo Quaglino»[6].
La centralità dell’affidabile “controricerca” condotta da Alberto Vacca poggia su una sostanziale variante ermeneutica all’assunto di cui sopra: quella concordanza evocata da Canali e condivisa da Biocca, esiste sì, solo che era la spia Quaglino e non già Secondino (alias il “loro fiduciario Silvestri”) ad aggiornare il commissario Bellone sull’organizzazione e la strategia rivoluzionaria in corso nei partiti comunisti italiano ed europei (peraltro in modo superficiale e non sempre tempestivo) mentre si trovava, molto probabilmente, nelle stesse città in cui agiva, da autentico cospiratore, il Nostro.
Non solo. Si permette di rilevare inoltre, in modo garbato, che gli inspiegabili (per i due storici) periodi di silenzio della “fantomatica spia abruzzese”, erano dovuti al fatto che le missive delatorie (non esaminate) continuavano a pervenire alla Questura romana per mano di 300 HP: «[…] poiché sono partiti dal presupposto che il fiduciario comunista della polizia fosse Silone, Canali e Biocca hanno constatato un grande vuoto informativo nel periodo 1925-1927, di cui non si sono saputi spiegare la ragione. Nell’arco di un triennio il fiduciario avrebbe prodotto, stando ai documenti da loro pubblicati, soltanto quattro relazioni fiduciarie: una nel novembre 1925 e tre nel novembre 1927. […] Nell’attività informativa di 300 HP, però, non vi fu alcuna soluzione di continuità, perché essa si svolse nell’arco di un decennio (1922-1932)»[7].
Ridato a Cesare quel ch’è di Cesare, l’autore mette poi sotto la sua lente d’ingrandimento le altre informative “esibite” da Canali per il periodo novembre 1923-maggio 1924 (provenienti dalla Spagna, Belgio, Berlino) scrivendo tra l’altro: «È da presumere che 300 HP si sia trattenuto in Spagna, Francia e Belgio, per un certo tempo e che abbia consegnato il proprio materiale informativo al suo rientro»[8].
Una particolare attenzione è poi riservata all’incontro intercorso a Genova tra Bellone e il suo confidente, incontro svoltosi in una sorta d’interrogatorio con relative risposte scritte, trasmesse poi dal commissario al questore di Roma Cesare Bertini con una lettera d’accompagnamento il cui incipit è il seguente: «Genova 22 aprile 1923 – Caro Commendatore, Qui unite ti trasmetto tutte le notizie che mi è stato possibile conoscere dal nostro amico, col quale sono stato due giorni in contatto e che le ha scritte alla mia presenza. […]»[9].
Per tagliare la testa al toro su una delle più controverse attribuzioni a Secondino Tranquilli delle sue “presunte delazioni autografe”, con la scrittura sottoposta nel 2001 ad una perizia calligrafica (richiesta dalla Fondazione Nenni e sollecitata da Tamburrano) che ne ha escluso la paternità, Vacca s’inoltra in una serie di valutazioni lessicali e stilistiche, rilevando anche una sorta d'”impronta semantico-digitale” lasciata dalla spia Quaglino sulle carte in questione. Come?: «L’impronta è costituita da una formula stilistica che viene da lui utilizzata. Di solito scrive “a 1/2” invece di “a mezzo” e “per 1/2” invece di “per mezzo”»[10]. Sulla base di questo rivelatore stilema, ripetuto più volte, e, riscontrato in altre “informative certe” dell’ingegnere, spione di primo pelo che non aveva avuto alcun ritegno nel denunciare persino i suoi più stretti familiari[11], può continuare a scrivere: «Quaglino era un ingegnere e il vezzo di utilizzare le espressioni “a 1/2” e “per 1/2” gli derivò forse dalla sua formazione scientifica»[12]. Non solo. Un altro stilema della patentata spia è il reiterato uso e abuso nelle sue missive del segno d’interpunzione – (lineetta).
- Il giornalista Secondino Tranquilli, il doppiogiochista Silvestri ed il codice n. 73
Dei 17 documenti relativi al periodo fine 1923-1927, pervenuti al commissario Bellone per lo più da Parigi – curati da Dario Biocca nella Parte II de L’informatore Silone, i comunisti e la polizia – Alberto Vacca rivolge la sua attenzione su quello datato 7/10/1924 che inizia così: «Caro amico, sarà già al corrente di una buona notizia: Silvestri [alias Secondino Tranquilli, n. d .a, il quale in questo caso avrebbe scritto in terza persona] è stato nominato capo di tutto il movimento comunista italiano per la Francia, il Belgio e il Lussemburgo e perciò con i primi di ottobre dovrà trasferirsi a Parigi»[13]. Ipotizzando come confidenti ed in modo alternativo, sia Giovanni Buscemi che Secondino Tranquilli, peraltro entrambi alla redazione de Il Lavoratore di Trieste, presenti in quel periodo, inoltre, nella capitale francese. Anche ammettendo che l’informatore sia stato Tranquilli, come mai interloquiva con la Questura romana? Ecco la sua condivisibile risposta: «Resta ora da chiarire il motivo per cui, in questo periodo, Silone intrattenesse rapporti con la polizia fascista. L’ipotesi più probabile è che intendesse ottenere da essa informazioni utili al partito comunista, a cui apparteneva»[14].
Il punctum dolens ha purtroppo assunto l’intricato aspetto di un nodo gordiano che a livello storiografico va spaccato definitivamente in due per separare nettamente il Silone-rivoluzionario così come lo hanno vissuto i suoi compagni di lotta ed amato i milioni di lettori ed estimatori in tutto il mondo, dal Silvestri-spia. Buttare alle ortiche l’ammuffita, nauseabonda metà propinataci, assume mai come in questi nostri giorni di calanti valori etico-sociali, i connotati di un imperativo categorico: leggere o rileggere i romanzi e i consistenti “scritti sparsi” dello scrittore abruzzese, a tutt’oggi ripubblicati solo in minima parte.
Nelle sue attualissime, illuminanti pagine scoprirà o ritroverà più di una risposta al contenuto da dare, nella contemporanea società liquida baumaniana, a sublimi parole quali verità, giustizia, fraternità, democrazia, pacifismo cristiano-celestiniano diventate pressoché superflue ed obsolete nella contemporanea comunità internazionale globalizzata a livello finanziario in cui a predominare è il loro contrario: menzogna, ingiustizia, egoismi d’ogni genere, neo-totalitarismi, terroristico fondamentalismo jihadista.
Una chiarificatrice digressione consentirà d’inquadrare meglio la fondata ipotesi del Secondino Tranquilli doppiogiochista senz’altro, ma per la sola causa rivoluzionaria che ha contraddistinto la sua militanza nel Partito Socialista prima e Comunista poi, così come risulta dalla sua intensa attività di giornalista e saggista in quel decennio.
I suoi testi d’epoca, apprezzabili anche dal punto di vista intellettuale, stridono con la grigia, burocratica prosa delle informative a lui erroneamente ricondotte; testi messi del tutto in ombra nell’intransigente requisitoria accusatrice di Biocca e Canali sinora appena accennata, nonché nella successiva parabiografia bioccana Silone. La doppia vita di un italiano[15] uscita nel 2005 ed in altre loro pubblicazioni ancora. “Doppia vita” biografica più che inaffidabile, infarcita com’è di falsificanti svarioni, immediatamente colti da un altro storico, Sergio Soave: «[…] il suo Silone la doppia vita di un italiano evita accuratamente ogni confronto con le tesi contrarie alla sua e ribadisce, senza affrontare apertamente le critiche, le proprie precedenti convinzioni, con l’aggiunta di altri documenti che lo inducono a retrodatare fino al 1919 l’attività delatoria. Di tanto in tanto, senza darlo a vedere, corregge i più evidenti errori commessi nel passato. Per il resto, a costituire il nerbo documentario della sua opera, è la lunga teoria d’informative anonime, ma da lui attribuite con assoluta certezza a Silone »[16].
Per riprendere un po’ di fiato, lasciando da parte taroccate biografie sotto molti aspetti non incompatibili con romanzetti d’appendice, torniamo alla “realtà storica”.
Il dinamico rivoluzionario marsicano, infatti, in quegli stessi anni di assassinii (per tutti Giacomo Matteotti) e di feroci repressioni poliziesche di marca fascista, dava il suo apporto alla idealizzata, palingenetica rivoluzione scrivendo, con continuità, su numerose testate di partito quali L’Avanguardia, L’Ordine Nuovo e Il Lavoratore di Trieste (1919-1922), lo spagnolo La Batalla, L’Humanité, La Riscossa e Battaglie Sindacali (1923-1926), L’Unità, e, soprattutto, Lo Stato Operaio (1926-1930) ed altre ancora.
Sono sufficienti alcuni titoli degli scritti usciti su Lo Stato Operaio firmati ora Secondino Tranquilli, ora I. Silone, infine Pasquini (questi ed altri testi, insieme ad alcune relazioni tenute dal “compagno Pasquini” nelle riunioni apicali clandestine del partito, ed un fitto carteggio da cui è possibile ripercorrere tutta la vicenda che portò nel luglio del ‘31 alla sua espulsione dalle fila del Partito Comunista, sono stati trascritti e raccolti nel volume Ignazio Silone comunista. 1921-1931[17] firmato nel 1989 insieme ad Annibale Gentile), per rendersi conto della “qualità ideologica” in essi trasfusa.
Eccoli: Borghesia, piccola borghesia e fascismo[18], Sviluppo e funzioni del sindacalismo fascista[19], La situazione italiana alla vigilia del Plebiscito[20], Il Congresso internazionale antifascista[21], Riformismo e fascismo[22] (usciti a Parigi tra l’ottobre del 1927 ed il marzo del 1930).
Basta qui estrarre un paio di frasi tratte dalla relazione tenuta al Comitato Centrale del partito sul sindacalismo fascista nell’ottobre del 1928, non riportata nel testo pubblicato su Lo Stato Operaio, a rafforzare l’ipotesi del Tranquilli-Silvestri doppiogiochista pro Pcd’I, lucido teorico dell’infiltrazione: «[…] 3. i compagni che già sono nei sindacati fascisti (e ve ne sono in maggioranza sconosciuti come comunisti) devono ricevere dalla loro cellula le direttive sul lavoro da svolgere. Nel caso in cui nel sindacato fascista vi sono più compagni appartenenti alla stessa cellula, o che, appartenenti a cellule o settori differenti, tra di loro già si conoscano, essi devono costituire una frazione comunista. […]»[23].
Tra qualche rigo si potrà leggere l’acuto finale di quest’appassionata, originale, disamina del collaborazionista sindacalismo fascista, tenuta mentre il fratello Romolo era in carcere già da sei mesi e Secondino, accorso in suo aiuto dall’esilio Svizzero, cercava di barcamenarsi alla meno peggio con Bellone, così come certifica nel 1937 il capo della polizia politica Bocchini nell’identikit biografico inviato a Mussolini: «[…] Il Tranquilli Secondino, aveva per il fratello, un affetto profondo, soffrì molto. […] In tale periodo diede a vedersi di essersi pentito del suo atteggiamento antifascista e tentò qualche riavvicinamento con le Autorità italiane, mandando, disinteressatamente, delle informazioni generiche, circa l’attività di fuorusciti [il corsivo è nostro]»[24].
Ed eccoci al preannunciato acuto d’un rivoluzionario purosangue qual è stato l’Ignazio Silone degli anni Venti : «[…] il lavoro classista che noi svolgeremo nei sindacati fascisti, non ne allargherà le basi attuali, ma le decomporrà, non orienterà le masse verso una tendenza operaia del fascismo, ma le spingerà fuori dal fascismo, verso la Confederazione del Lavoro e il Partito Comunista. I compagni che non vedono questo con chiarezza, mostrano di pensare in modo formale e non dialettico. Il risveglio classista delle masse organizzate nei sindacati fascisti è una delle condizioni fondamentali della vittoria della rivoluzione proletaria in Italia»[25].
Altro che il delatore forgiato in così malo modo da Biocca e Canali attribuendogli, sulla base di carte d’archivio fasulle (almeno per quanto lo riguarda), la patente di spregiudicata spia fascista!
E, poi, a dirla tutta, le striminzite veline (non solo in termini quantitativi, ma soprattutto informazionali) nulla hanno da spartire, oltre che con i saggi di cui sopra pubblicati su Lo Stato Operaio – perché di saggi politici si tratta, e non di semplici articoli –, con i suoi interventi tenuti oralmente o per iscritto nelle riunioni clandestine degli organi dirigenziali del Partito trascritti in Ignazio Silone comunista. 1921-1931. Anche in questo caso, ci permettiamo di consigliare a Biocca, Canali ed agli altri storici revisionisti, di leggerne almeno alcuni, o, in mancanza di tempo, di scorrere i titoli in quanto parlano da soli: Assemblea Repubblicana dei comitati operai e contadini, Campagna antifascista e parola d’ordine “boicottaggio”, Questione della guerra e parole d’ordine, Partito comunista e doppio ufficio politico, Rapporto sulla sessione dell’Esecutivo dell’Internazionale Comunista, La campagna contro l’uccisione di Gastone Sozzi, Appunti sul compagno Azzario, Emigrazione e partito comunista (datati tra l’aprile del 1927 e la fine del 1928)[26].
Sempre nella realtà e per stare ai fatti nudi e crudi, il sovversivo marsicano sapeva molto bene come difendersi proprio dalle tante spie che gli erano state messe alle calcagna, sin dai primi anni di simulazioni e dissimulazioni riconducibili (anche secondo una testimonianza di Terracini ricordata dalla critica-biografa siloniana Luce D’Eramo[27]) al suo alter ego di quegli anni – il doppiogiochista Silvestri, si ripete ad abundantiam – il quale, come si è sinora sostenuto, attingeva notizie (anziché dare informazioni a Bellone), notizie che poi utilizzava a beneficio del partito o negli articoli e saggi pubblicati su giornali e riviste (si leggano in proposito la relazione Il fascismo in Abruzzo e nell’Italia meridionale[28] tenuta nel gennaio del 1928 nella seconda conferenza del Pcd’I e il sopracitato Sviluppo e funzioni del sindacalismo fascista).
A causa della ultradecennale attività clandestina rivoluzionaria, arcinota nelle repressive strutture organizzative della Polizia periferica e centrale dello Stato italiano (e non solo), le sue foto segnaletiche e la sua succinta “biografia sovversiva” saranno riportate in varie schede e relazioni, frutto dell’attività investigativa esercitata su di lui da Prefetture, Questure, ecc., nonché dagli apparati polizieschi di Stati esteri, Spagna e Francia, in particolare.
Per di più, checché ne scrivano e dicano i suoi acerrimi detrattori, sarà più che pedinato da quel nugolo di spie sino all’ultimo giorno del crollo del Regime e del suo definitivo rientro in Italia (1944), dopo un forzata assenza durata una ventina d’anni. Arco temporale in cui emergerà a tutto tondo, a livello europeo ed internazionale, la straordinaria figura letteraria e intellettuale dell’autore dei romanzi, saggi e racconti dell’esilio svizzero stampati tutti, nella loro prima edizione, in lingua tedesca: Fontamara (1933), Der Fascismus: seine Entsehung und seine Entwicklung [Il fascismo: origini e sviluppo] (1934), Die Reise nach Paris [Un viaggio a Parigi] (1934), Brot und Wein [Pane e vino] (1936), Die Schule der Diktatoren [La scuola dei dittatori] (1938), Der Samen unterm Schnee [Il seme sotto la neve] (1942).
- Ignazio Silone spiato dai fascisti dell’OVRA rischia d’ essere assassinato
Non si può fare a meno di segnalare come una di queste spie, Aldo Sampieri, in una relazione fiduciaria del febbraio ’35, suggerisse all’OVRA, di assassinarlo: «[…] mi sembra perciò che si dovrebbe mettere in atto un sistema per eliminare il male, man mano che l’ammalato si avvicini al chirurgo, in questo caso mi sembra che il Tranquilli sia molto vicino al chirurgo e che sarebbe ora di completargli la cura. È un mio punto di vista […]»[29].
Come scrive lo storico Mimmo Franzinelli, alla cui ricerca si deve il ritrovamento dell’importante carta d’archivio, per il solo 1934, ben tre delatori erano stati messi contemporaneamente alle sue costole: «During 1934 the Political Police Division received reports on Silone from informers nos. «7» (Livio Bini, from Paris), «37» (Aldo Soncelli – alias «Giove» – from Zurich), «582» (Aldo Sampieri – «Oliviero» and «Saturno» – again from Zurich)»[30].
Quanto alla perfetta conoscenza del “futuro Silvestri” sulla capillare rete spionistica già esistente al suo esordio militante nell’Unione socialista romana romana, potenziata poi dal nascente Regime, lo rivela questa lettera del 1921 indirizzata a Bordiga, da noi rinvenuta una decina d’anni fa alla Fondazione Istituto Gramsci, lettera già utilizzata in una tesi di laurea: «15 novembre 1921 – Caro Amedeo, stamani sono tornato da Fiume. Ti mando il resoconto del Congresso adulto, di cui avrai già letto sul Lavoratore. Il Congresso giovanile è riuscito trionfalmente: tutti i giovani hanno votato l’adesione al nuovo partito comunista, mentre quasi un terzo degli adulti uscirà dal partito e costituirà la sezione socialista. Il comp. Ciabrian, al quale tu mi indirizzasti e col quale desideri [?] è sotto inchiesta, accusato di spionaggio.
Saluti cordiali
Secondino Tranquilli»[31].
- «Quando tentò di prestarsi come nostro informatore»
Tornando a Le false accuse contro Silone, si può sintetizzare che il fil rouge dipanato nelle oltre 170 pagine, è quello noto che ha diviso in modo netto sin dall’inizio i cosiddetti innocentisti dai colpevolisti. Per i primi (e fondatamente anche per Vacca) il rapporto fiduciario tra il comunista Secondino Tranquilli e il commissario Guido Bellone va circoscritto al periodo 1928-1930, anche se i rapporti tra i due possono essere stati rintracciati, documenti alla mano e non già romanzate ipotesi, sin da quando nella “velina spionistica” dell’ottobre del ‘24 (supra) compare per la prima volta il nome di Silvestri. Rapporti certamente “riavviati” nel 1928 allorché il rivoluzionario abruzzese è colpito psicologicamente a morte nei suoi affetti più cari dopo l’arresto del fratello minore Romolo accusato di essere stato uno degli autori della strage avvenuta il 12 aprile del 1928 a Milano (il quale si spegnerà poi nel carcere di Procida il 27 ottobre del ’32 a causa delle sevizie subite durante la sua detenzione, nonché delle inadeguate cure mediche).
Il suo blando, collaudato do ut des (do’ alcune notizie che non mettono in pericolo i miei compagni, ma che possono comunque interessarti, perciò fai qualcosa per mio fratello; tra l’altro notizie anticipatrici divulgate subito dopo su riviste e giornali di partito), è ben messo in evidenza in questo passo del documento datato 16 gennaio 1935 redatto da Michelangelo Di Stefano, direttore capo della Divisione polizia politica: «[…] il Tranquilli, com’è noto, non fa mistero alcuno del suo profondo odio contro il Fascismo, cui, da comunista qual’è (sic), attribuisce la morte, avvenuta nelle carceri italiane, del fratello, che egli cercò di giovare quando tentò di prestarsi come nostro informatore e che ritiene fermamente sia morto in seguito a sevizie subite [il corsivo è nostro]»[32].
Questa capitale carta d’archivio, da cui si evince la reale natura, nonché le motivazioni che indussero Secondino Tranquilli a tentare di «prestarsi come nostro informatore», è stata sminuita e ribaltata completamente dai reiterati scoop di Biocca e Canali, pur essendo in presenza di una inoppugnabile verità circa il tipo di collaborazione-simulazione messa in atto.
Last but non least, va di sfuggita ricordato che la stessa – esibita a metà degli Anni Novanta da Biocca insieme a quella analoga del 1937 come prova tangibile del duro lavoro d’archivio compiuto – in realtà era già stata pubblicata una quindicina d’anni prima nelle due edizioni di un altro volume curato insieme ad Annibale Gentile: Ignazio Silone tra l’Abruzzo e il mondo[33]. Non a caso, in maniera del tutto autonoma e senza alcuna preventiva concertazione, l’estensore di questa nota, Annibale Gentile, Stefano Pallotta e Vittoriano Esposito pubblicarono alcuni articoli imperniati sul “falso scoop“[34].
- Il doppiogiochista Silvestri, i compagni di partito e l’arresto di Gramsci
Per merito di Le false accuse contro Silone, il bandolo della matassa annodata allo pseudonimo Silvestri su cui Canali ha rinvigorito il suo J’Accuse!!! nel ponderoso libro Le spie del regime collegandolo al codice 73, numero che compare in una delle informative qui trattate, può considerarsi finalmente trovato, grazie a Vacca. Infatti, nella chiarificatrici nota n. 50 del capitolo terzo si può leggere: «L’utilizzazione dello pseudonimo Silvestri da parte di Silone, all’interno del partito, risulta da uno scambio di corrispondenza tra lui e Romano Cocchi (Adami), e da una lettera di Tasca. Le lettere di Cocchi e Silone sono entrambe datate 17 agosto 1928 [cioè circa 4 mesi dopo l’arresto del fratello Romolo, n. d. a]»[35]. Dalla trascrizione integrale, per la lettera di Adami si può, tra l’altro, leggere: «17/8/28 A Silvestri, Caro Silvestri, In risposta al tuo biglietto. Innanzitutto protesto contro il tono dei tuoi biglietti, Da nessun dirigente del P. ho ricevuto biglietti uguali ai tuoi»[36]. A seguire la risposta, con tanto di: «Saluti fraterni: Silvestri»[37].
L’ovvia, logica conclusione di Vacca, è la seguente. «[…] va rilevato che, se Silone fosse stato una spia, non avrebbe commesso l’imprudenza di usare, nella corrispondenza con Bellone, lo pseudonimo Silvestri, che utilizzava anche con i compagni di partito»[38]. Detto in altri termini: se nel 1924 Silvestri aveva fatto il doppiogiochista in nome e per conto del partito, nel biennio 1928-1930 l’identico ruolo lo aveva reinterpretato per motivi strettamente personali, ma sempre con il consenso dei più stretti dirigenti del Pcd’I.
In merito, dal nostro punto di vista ci permettiamo di suggerire un’ulteriore deduzione logica: lo pseudonimo Silvestri rinvenibile in questa o quella relazione fiduciaria, garantiva il suo estensore da qualsiasi strumentalizzazione ricattatoria fosse stata messa in atto dalla Polizia politica fascista con la divulgazione della stessa su giornali o per altre vie in caso di rottura della simulata collaborazione.
Un’ultima puntata della spy-story, o meglio, della telenovela sulla spregevole, mostruosa figura del Silone-spia dei fascisti, è stata rilanciata su un’affievolita onda mediatica un paio d’anni fa da Mauro Canali nel libro Il tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata[39].
Rileva con ravvisabile costernazione Alberto Vacca: «Di recente Canali ha mosso contro Silone una nuova grave accusa: quella di aver causato, con la sua opera delatoria, l’arresto e la conseguente condanna di Antonio Gramsci. […] L’affermazione, poi, che Gramsci sia stato condannato in forza delle informazioni fornite da Silone a Bellone è del tutto priva di fondamento perché Silone non ha redatto alcun rapporto fiduciario contro di lui. Su Gramsci esistono, invece, alcune relazioni di Quaglino, che non si sa, però, quanto abbiano potuto influire sulla sua condanna. […] Non potendo esibire alcun documento che dimostri il “tradimento”di Silone nei confronti di Gramsci, Canali ripropone la vecchia tesi che esso sarebbe stato provato dal fatto che, il 7 luglio 1926, egli fu immediatamente rilasciato dopo il suo fermo e accompagnato alla questura di Roma. L’incontro tra Silone e Bellone nella questura di Roma non è attestato da alcun documento ed è frutto di fantasia»[40].
Senza stare a ripercorrere tutti i dettagli del calunnioso teorema canaliano sciorinato nell’apposito capitolo L’informatore Silone, si può telegraficamente sintetizzare come egli sostenga la tesi d’un Bellone il quale, nel corso del processo contro Gramsci, sia stato determinante per la successiva condanna inflittagli, in quanto la sua decisiva testimonianza era stata ben alimentata dalle preziose notizie sull’organizzazione del Pcd’I attinte dal “ri/tornante” fiduciario: «La ricerca storica [il corsivo è nostro] ha ormai accertato da circa una decina d’anni che l’informatore di Bellone infiltrato nel Pcd’I era Ignazio Silone con lo pseudonimo di “Silvestri”»[41].
Premesso che in nota della frase delimita la ricerca storica al suo nome e a quello di Biocca citando il loro libro L’informare: Silone, i comunisti e la polizia politica (e tutti gli altri storici e studiosi che hanno scritto, come Vacca, fiumi d’inchiostro contro un sempre più sbriciolato paradigma, che fine hanno fatto?), Canali avrebbe dovuto, al contrario, confrontarsi in modo più dialettico con altri ricercatori i quali, sull’intricata questione Bellone-Tranquilli-Silvestri, hanno esibito incontrovertibili prove d’archivio azzeranti le sue presunte e pretensiose certezze.
L’indubbio merito di Vacca sulla reale dinamica del “processone”, va individuato nella certosina ricostruzione con cui gli antefatti (incursione nel 1926 di Bellone nella sede romana clandestina del Pcd’I, ove erano stati rinvenuti non solo gli otto ciclostilati firmati I. Silone, come evidenzia riduttivamente Canali e, prima di lui, con un’analoga impostazione denigratoria Luciano Canfora[42], bensì numerosi altri recanti i nomi di vari comunisti) e l’oggettivo rilievo dato ai “veri testimoni”[43] che portarono alla condanna del rivoluzionario sardo, non coincidenti per nulla con il nome di Bellone e con quanto scritto dai due storici sull’argomento. La tirata d’orecchie a Canali, a questo punto della recensione, non dovrebbe meravigliare: «Per quanto riguarda i documenti sequestrati in Via Panisperna 223 è vero che otto di essi erano riferibili a Silone, ma Canali omette di precisare che ne furono trovati anche di altri dirigenti: sei di Bibolotti, sei di Micheli, sei di Taddeo, quattro di Nicoletti, quattro di Meo, due di Morelli, due di Grieco, due di Alessio, uno di Ercoli, uno di Silvia, uno di Sereno, uno di Moroni, uno di Blasco, uno di Zamboni. Nella sua operazione repressiva, tesa a contrastare la diffusione della stampa contraria al regime, Bellone denunciò solo i comunisti che furono trovati in possesso di volantini o di altri stampati clandestini e omise di denunciare non solo Silone ma anche tutti gli altri autori dei documenti sequestrati»[44].
- Il fantasioso rapporto omosessuale tra il giovane Secondino Tranquilli e l’attempato commissario di polizia Guido Bellone
La condivisibile scelta dell’autore di accennare appena alla rivoltante motivazione (omosessualità) addotta principalmente da Biocca per spiegare il “non spiegabile” rapporto che sarebbe intercorso per un decennio tra il giovane Secondino Tranquilli e l’attempato Guido Bellone di ben 29 anni più anziano – il quale non ha mai dovuto rilasciare una ricevuta in lire per i gratuiti servigi spionistici ottenuti, come invece aveva sempre fatto la sua OVRA con la vera spia Quaglino – non può esimerci dal fare qualche ulteriore considerazione, con i relativi “distinguo” tra la ricerca storica “ideologicamente neutrale”, lo scoop e le posticce “pistole fumanti” rinvenute qui e là a sostegno di strampalate tesi degne più di malevoli, gossipare chiacchiere da bar, che di attendibili “verità storiche accertate” (Canali, supra).
La sconcertante versione della love story ha i suoi torbidi inizi, con Dario Biocca, in questa frase contenuta nella lettera datata 5/7/1929, firmata Silvestri, indirizzata alla convivente sorella del commissario Bellone: «Al punto in cui sono nella mia formazione morale e intellettuale mi è fisicamente impossibile restare con lei negli stessi rapporti di 10 anni fa»[45]. Il “lei” si riferirebbe a Bellone e non già alla sorella.
Su quel «mi è fisicamente impossibile» lo pseudo biografo siloniano ha fondato tutte le principali ipotesi del probabile rapporto non già affettivo (una sorta di surrogata ed amicale figura paterna del Bellone conosciuto forse dal quindicenne abruzzese in anteprima dopo il tragico terremoto del Fucino), ma sentimentale, di matrice prettamente erotica: «Il contenuto, il tono e il linguaggio delle corrispondenze, nonché i numerosi incontri avvenuti in Italia, Francia e Svizzera [nessun incontro, salvo l’unico avvenuto nel novembre del ‘28 in Svizzera è stato documentato da uno “straccio di carta” d’archivio, n. d. a.] e la protezione accordata fino all’ultimo, a volte reciprocamente, lasciano supporre che la relazione implicasse elementi emotivamente significativi e forse, per entrambi, inconfessabili»[46].
Aver mescolato in così malo modo le carte d’archivio reperite (si leggano in proposito tutte le obiezioni metodologiche ed interpretative mosse da Gianna Granati e Alfonso Isinelli per ognuno dei 31 documenti curati da Canali ed i 21 da Biocca ne L’informatore: Silone, i comunisti e la polizia) con il non-credibile avatar-spione del rivoluzionario Secondino Tranquilli fabbricato a tavolino, a nostro modo di vedere, è, a dir poco, imperdonabile. Così, tanto per fare un solo esempio, quei “dieci anni” sono stati il pretesto a-storiografico per far risalire l’inizio della collaborazione spionistica, non già alla data del documento n. 1 (12/1/1923), ma al 1919 (supra). Nulla toglie che un qualche rapporto personale possa esserci stato. Ma, la data andrebbe spostata successivamente alla nascita del Pcd’I (1921) e la motivazione ricondotta nei giusti binari d’una infiltrazione del “Silvestri doppiogiochista” il quale, con il consenso del partito, avrebbe sfruttato al meglio la provvidenziale conoscenza.
La caricaturale deformazione storica della possente figura d’Ignazio Silone sino a qui delineata (un vero gigante del Novecento tra i tanti piccoli pigmei negazionisti), è stata purtroppo il cardine, il frutto avvelenato raccolto da qualche altro storico italiano (Melograni, Perfetti, Canfora), o da saggisti come Elisabeth Leake nel suo libro The reinvention of Ignazio Silone[47], passato al setaccio ed in opportuni termini estremamente negativi da Maria Moscardelli, in un denso testo disponibile su internet[48]. Meno squilibrata, ma pur sempre influenzata dalla vulgata spionistica di Biocca e Canali, è la biografia ripercorsa in Bitter Spring. A Life of Ignazio Silone di Stanislao G. Pugliese, in cui il capitolo “Silvestri” occupa una quarantina di pagine[49].
Per non parlare poi di un intero romanzo di un affermato scrittore abruzzese, ispirato esclusivamente alla boccaccesca parabiografia siloniana di Biocca, i cui principali passi d’accusa sono stati pressoché parafrasati, acriticamente, con un sostanziale taglia-copia-incolla[50].
Di fronte alle tante sconcezze antisiloniane, le salde conclusioni della ricerca “altra” di Alberto Vacca, rassicurano e tranquillizzano: «Verificata l’infondatezza delle accuse formulate contro Silone, possiamo concludere affermando che l’esame dell’attività informativa da lui svolta, nella quale non sono presenti notizie delatorie a danno dei propri compagni di partito, porta a escludere che egli sia stato una spia infiltrata nel PCd”I per distruggerlo […]. Per il periodo 1928-1930 fu la stessa polizia a sostenere che egli avesse simulato per favorire il fratello. Le relazioni fiduciarie relative al periodo 1923-1927, attribuite a Silone da Canali e Biocca, furono redatte da Alfredo Quaglino e, se non tutte da lui, in parte da qualche altro fiduciario non identificabile […] Stando così le cose, appare evidente che l’accusa rivolta a Silone di essere stato una spia fascista è stata formulata sulla base di una interpretazione decontestualizzata e arbitraria dei documenti relativi ai suoi rapporti con la polizia e con l’attribuzione a lui delle relazioni fiduciarie redatte da Quaglino nel periodo 1923-1927»[51]. Più chiaro e tondo di così…
Gli antistorici inquisitori, dopo le ulteriori prove certificanti la limpida milizia rivoluzionaria di Secondino Tranquilli, ammetteranno pubblicamente i loro non emendabili errori? Canali approfondirà la sua conoscenza su Quaglino, a cui ha dedicato solo qualche rigo ne Le spie del regime, mentre alcune pagine sono tutte per il “caso eccellente” Silone-Silvestri-73, in “cattiva compagnia” con Vasco Pratolini e Max Salvadori? Biocca riscriverà quasi tutti i capitoli della sua inventata parabiografia? Lo scrittore celanese, non potendo più far fare l’amore tra Secondino e Guido, quale altra diavoleria escogiterà per continuare a screditare il suo conterraneo?
Un’ultima domanda. Nell’italietta post-fascista e neo-post-berlusconiana, com’è potuto accadere l’immondo linciaggio siloniano?
Una convincente risposta l’affidiamo alle riflessioni del criminologo Francesco Sidoti per aver colto appieno, con alcuni saggi, la stretta correlazione esistita tra gli scoop mediatici di Biocca e Canali e la straziante messa in croce dello scrittore abruzzese: «La criminalizzazione di Silone è oggi di carattere specifico, ma è utile ricordare che le disavventure di Silone sono in un certo senso parallele a quelle sofferte da una nutrita serie di altri grandi protagonisti del Novecento: da Orwell a Camus, da Popper a Aron. La cultura liberale e riformista è spesso destinata a un ruolo purtroppo minoritario o ridotto, davanti al peso di ogni pseudo cultura inquisitoria, totalitaria, pressappochista, che può conquistare ampi consensi perché si appella a sentimenti elementari e primitivi: la presunzione di possedere soluzioni e verità, la ricerca del capro espiatorio, la tirannia sulle minoranze, la sopraffazione degli spiriti originali e anticonformisti»[52].
Sullo sfondo di questo deprimente scenario, Le false accuse contro Silone riescono ad annichilire le squallide congetture a-popperiane scagliate post mortem sull’urna cineraria di uno dei più coinvolgenti pensatori politici e romanzieri del Novecento italiano ed europeo.
[1] Si rimanda a: D. Biocca , Ignazio Silone e la polizia politica. Storia di un “informatore”, in “Nuova Storia Contemporanea”, II, 3, 1998, pp. 67-93; D. Biocca, “Tranquilli (nell’ombra)”: Ignazio Silone in Francia, ibidem, III, 3, 1999, pp. 53-76; M. Canali, Il fiduciario “Silvestri”. Ignazio Silone, i comunisti e la Polizia politica, ibidem, III, 1, 1999, pp. 61-86; M. Canali, Le prove del doppiogioco, Fondazione Liberal, Roma, 2000; D. Biocca – M. Canali, L’informatore: Silone, i comunisti e la polizia, Luni Editrice, Milano-Trento, 2000, pp. 276; M. Canali, Le spie del regime, il Mulino, Bologna, 2004, pp. 864; D. Biocca , Silone. La doppia vita di un italiano, Rizzoli, Milano, 2005, pp. 384; D. Biocca, Gli “ innocentisti” e Silone, in “Nuova Storia Contemporanea”, X, 2006, pp. 107-116; M. Canali, Il tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata, Marsilio, Venezia 2013, pp. 256.
[2] A. Vacca, Le false accuse contro Silone, Guerini e Associati, Milano, 2015, pp. 184.
[3] G. Tamburrano – G. Granati – A. Isinelli, Processo a Silone. La disavventura di un povero cristiano, Piero Laicata Editore, Manduria – Bari – Roma, 2001, pp. 162; G. Tamburrano, Il “caso” Silone, UTET, Torino, 2006, pp. 118. .
[4] M. Canali, Ignazio Silone, ovvero la doppia identità, in L’informatore: Silone, i comunisti e la polizia, op. cit., pp. 53-54.
[5] A. Vacca, op. cit., p. 81.
[6] Ivi, p. 82.
[7] Ivi, pp. 104-105.
[8] Ivi, p. 102.
[9] Ivi, p. 83.
[10] Ivi, p. 98.
[11] «Tra le persone spiate da Quaglino vi fu anche lo zio Felice Quaglino, ex deputato socialista, sul quale trasmise alla Pol Pol numerose relazioni fiduciarie. Inviò alla polizia perfino l’originale di una lettera indirizzatagli dal medesimo», ivi, p. 115.
[12] Ivi, p. 99.
[13] Ivi, p. 117.
[14] Ivi, p. 124.
[15] D. Bocca, Silone. La doppia vita di un italiano, op. cit.
[16] S. Soave, Senza tradire senza tradirsi. Silone e Tasca dal comunismo al socialismo cristiano (1900-1940), Aragno, Torino, 2005, pp. 662 (cit. pp. 158-159).
[17] A. Gasbarrini – A. Gentile, Ignazio Silone comunista. 1921-1931, Angelus Novus Edizioni, L’Aquila, 1989, pp. LXVI-254.
[18] Ivi, pp. 35-61.
[19] Ivi, pp. 72-93.
[20] Ivi, pp. 103-115.
[21] Ivi, pp. 116-122.
[22] Ivi, pp. 135-147.
[23] Ivi, p. 85.
[24] A. Vacca, op. cit., p. 24.
[25] A. Gasbarrini – A. Gentile, op. cit., p. 93.
[26] In Ignazio Silone Comunista. 1921-1931, op. cit. Alcuni titoli rispecchiano l’ordine del giorno. Altri sono redazionali.
[27] Testimonianza di Luce D’Eramo, in G. Tamburrano, Processo a Silone, op. cit., pp. 133-136.
[28] In: A. Gasbarrini – A. Gentile, op. cit., pp. 25-34.
[29] M. Franzinelli (a cura), Ignazio Silone, Il fascismo. Origini e sviluppo, Mondadori, Milano, 2002, pp. 310 (cit. p. XVII).
[30] ID., www.mimmofranzinelli.it (link “Testi online”: Silone in the thirtles: the exile workshop).
[31] Fondazione Istituto Gramsci, Partito comunista d’Italia (1921-1943), fascicolo 40, ora nella tesi di laurea in Storia Contemporanea Le origini del PCI in Abruzzo (1919-1926) discussa da Andrea Borghesi all’Università di Roma “La Sapienza” – Facoltà di Lettere e Filosofia, Anno Accademico 1997-1998.
[32] A. Vacca, op. cit., p. 22.
[33] A. Gabarrini – A. Gentile, Ignazio Silone tra l’Abruzzo e il mondo, Regione Abruzzo, L’Aquila, 1979, I ed. pp. 440; Marcello Ferri Editore, L’Aquila, 1980, II ed. ampliata, pp. 508.
[34] Questa la riassuntiva genesi mediatica dello scoop: «Il caso Silone ebbe un’anteprima di deflagrazione esattamente il 7 marzo 1996. In tale data su Il Corriere della Sera, nella pagina dedicata a “Cultura e Spettacoli”, Giovanni Belardinelli dava notizia di due clamorosi documenti rinvenuti dall’allora ricercatore, presso l’Università di Perugia, Dario Biocca. Documenti che, due giorni più tardi, furono presentati dallo stesso Biocca nel corso della conferenza “The other among us” organizzata dalla Stanford University a Firenze. I due documenti, ritenuti assolutamente eccezionali, erano stati rinvenuti dal Biocca presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma e, nelle intenzioni dello studioso, dovevano dimostrare che Ignazio Silone, al secolo Secondino Tranquilli, era stato, dal 1919 al 1930, comunista e, contemporaneamente, fascista. Meglio: comunista ed informatore della polizia politica fascista. La rivelazione fu sconvolgente, le premesse per uno scoop sensazionale c’erano tutte. E scoop fu. Da quel momento scoppiò il “caso” Silone a cui i mass media diedero vasta eco […]». Sta in: Maria Tortora, Il caso Silone (a proposito della tesi di Biocca e Canali), Lankelot, 17/7/2006, www.lankelot.eu/letteratura/il-caso-silone.html.
Circa una settimana dopo, sulla pagina culturale de Il Messaggero d’Abruzzo compariva un articolo, da me firmato, in cui scrivevo tra l’altro: «Strano destino quello d’Ignazio Silone. Dopo aver lottato per tutta la vita contro il fascismo. Dopo essere stato perseguitato dal regime in ogni angolo d’Europa da spie d’ogni risma, viene in questi giorni chiamato in causa dallo storico Dario Biocca quale presunto informatore della famigerata Ovra, al fine di intercedere nei confronti del fratello Romolo. Il tremendo J’accuse dello storico (che molto probabilmente deve aver letto poco o nulla di Silone) si basa, per quanto ne sappiamo, su un documento già pubblicato sin dall’ 80, documento che correttamente interpretato nulla toglie o aggiunge alla fulgida scrittura di uno dei più noti scrittori del mondo. Occorre pertanto leggere nel modo più opportuno quella sgrammaticata “velina” datata “Roma, 16 Gennaio ’35 – XIII”. […] Questo in estrema sintesi l’itinerario politico, letterario, umano, spirituale ed artistico di Ignazio Silone in quegli oscuri anni di dittatura fascista: da che mondo è mondo le spie e i delatori hanno avuto sempre ben altro da fare, dire o scrivere». Sta in: A. Gasbarrini, Ignazio Silone, il perseguitato: ieri i fascisti, oggi gli storici, “Il Mesaggero”, 14 /3 / 1996. Veniva contestualmente riproposto integralmente il documento di che trattasi, a suo tempo pubblicato nelle due edizioni di Silone tra l’Abruzzo e il mondo cit.. A distanza di venti anni, Nemesi deve averci dato proprio ragione.
[35] A. Vacca, op. cit., p. 151.
[36] Ibidem.
[37] Ivi, p. 153.
[38] Ivi, p. 77.
[39] M. Canali, Il tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata, op. cit.
[40] Le false accuse contro Silone, op. cit., pp. 130 e 138.
[41] Il tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata, op. cit., p. 65.
[42] Si è già avuto modo di scrivere, nella Introduzione al recente libro A. Gasbarrini – A. Gentile, I Fontamaresi. La Scuola delle “Libertà” nella Fontamara d’Ignazio Silone (Angelus Novus Edizioni, L’Aquila, 2015, pp. 192 ): «La stessa tesi di fondo, sotto un’altra angolazione, era stata sostenuta un anno prima da Luciano Canfora nel suo Spie, URSS, antifascismo. Gramsci 1926-1937 nel capitolo La strana testimonianza d’Ignazio Silone. In poco più di quattro pagine il noto storico contesta alla radice le affermazioni dello scrittore riportate nel libro Gramsci vivo del 1977. […] L’unidirezionale “ermeneutica” di Canali e Canfora sulle responsabilità del saggista-scrittore abruzzese circa il proditorio arresto di Gramsci, fa letteralmente a cazzotti con il suo reale vissuto, scritto e pensato. Una delle 40 domande postegli nel 1954, con relative risposte pubblicate su La Fiera Letteraria dell’11/4/1954, verteva su quali fossero stati gli incontri più importanti della sua vita. Rispose: “Don Orione, Gramsci [corsivo nuovamente mio, n. d. a.], Trotzky, Ragaz”. Per entrambi, inoltre, è consigliabile rileggere il ritratto intellettuale a tutto tondo di Antonio Gramsci effigiato da Ignazio Silone nel lontano 1958 [nella rivista Tempo Presente, n. d. a.]», cit. pp.24-26.
[43]«Il ruolo principale nella costruzione del castello accusatorio contro Gramsci e gli altri imputati non fu svolto dalla questura di Roma [e perciò da Bellone, n. d . a.], bensì da quella di Bologna, diretta da Alcide Luciani, il quale si avvaleva della collaborazione del funzionario Riccardo Pastore. Fu infatti Riccardo Pastore a denunciare Gramsci alla magistratura, con rapporto 27 settembre 1926 diretto al procuratore del re della città, per delitti contro i poteri dello stato. […] Assai grave per Gramsci fu la deposizione testimoniale del questore di Torino, Bellarmino Chiaravallotti, rese al giudice istruttore Macis, l’11 giugno 1927, nella quale accusò il dirigente comunista di avere a disposizione armi conservate in luoghi segreti, in vista di un’eventuale insurrezione contro lo Stato. […] Il ruolo di Gramsci come capo del partito comunista fu messo in rilievo anche dal questore di Milano Gabriele De Santis che nell’interrogatorio del 28 maggio 1927, dichiarò al giudice Macis: “[…] da informazioni riservate e dalla mia particolare conoscenza dell’ambiente, ritengo che egli sia la mente direttiva del partito nel 1926”», A. Vacca, op. cit., pp. 134-137.
[44] Le false accuse contro Silone, op. cit., p. 138.
[45] D. Bocca, Silone. La doppia vita di un italiano, op. cit., p. 146.
[46] Ivi, p. 313.
[47] E. Leake, The reinvention of Ignazio Silone, University of Toronto Press, pp. 224.
[48] http://www.amici-silone.net/reinvenzione_di_silone.html
[49] S. G. Pugliese, Bitter Spring. A life of Ignazio Silone, Farrar, Straus and Giraux, New York, 2009, pp. 426.
[50] Sempre nell’Introduzione a I Fontamaresi… ho tra l’altro scritto: «Chi calcherà la mano in questo crescendo rossiniano della delegittimazione politica ed esistenziale d’Ignazio Silone, sarà il quotato scrittore marsicano Renzo Paris nella recentissima biografia romanzata Il fenicottero. Vita segreta d’Ignazio Silone. Senza entrare nel merito del valore letterario delle oltre 300 pagine dedicate al “pedinamento dei fatti” più salienti della esecrabile “anormalità” (d’indole sessuale su tutte, con devianze oscillanti tra il mito di Edipo e quello di Elettra) che ha caratterizzato l’errabonda vita ripercorsa dalla sua infanzia fino agli inizi del 1930, mi limito a rilevare che le prove documentali esibite a sostegno dello sdrucito fil rouge ricalchino al 99% quelle già stranote divulgate nei vari libri e saggi usciti su riviste di Biocca e Canali (Biocca in primis). Scartoffie riesumate pedissequamente senza alcun accenno alle tante obiezioni di fondo nel frattempo sollevate da storici e critici di rango», (cit. p. 26).
[51] Le false accuse contro Silone, op. cit., p. 139.
[52] F. Sidoti, Un «caso» che non doveva neppure essere aperto, in Silone, la libertà. Un intellettuale scomodo contro tutti i totalitarismi, a cura di Aldo Forbice, Guerini e Associati, Milano, 2007, pp. 304 (testo pp. 217-228; cit. pp. 222-223).
[Tempo Presente, n. 420, dicembre 2015, pp. 35-45. Per ragioni di spazio editoriale il testo è stato pubblicato senza note]