Ricordando Silone

Il Messaggero Abruzzo (23 agosto 1987)

di Antonio Gasbarrini

Ignazio Silone nasce a Pescina il primo maggio del 1900 e muore a Ginevra il 22 agosto del 1978. Per sua espressa volontà (“Vorrei essere sepolto così, ai piedi del vecchio rudere di S. Berardo a Pescina, con una croce di ferro al muro e la vista del vecchio Fucino in lontananza”).  Le ceneri riposano ora nel paesaggio dell’anima, Fontamara.

Sull’onda dell’emozione viene varata la legge regionale 24.5.80 che prevede l’istituzione del Premio internazionale di saggistica Ignazio Silone (di 10 milioni) da assegnare annualmente “ad un saggio di storia, politica, letteratura, teatro, che abbia come ispirazione e contenuto gli elementi del messaggio siloniano, che esalti il valore della libertà e della verità ovvero che rappresenti la difesa dei popoli o coscienze oppresse”.

Il primo bando del Premio, a dispetto della formulazione dell’art. 2 “tale premio viene indetto annualmente ad iniziare dal corrente anno ‘80”, vede la luce nel maggio dell’84. A tutt’oggi, una serie di cavilli burocratici, di inammissibili ritardi, di aperti boicottaggi, hanno impedito l’esame, da parte della giuria internazionale (Bo, Boll – nel frattempo morto -, Marquez, Milosz, Moravia, Neuvecelle, Nichols, Pampaloni, Pellicani, Spriano), degli elaborati pervenuti da tutto il mondo. Nel frattempo i romanzi dello scrittore abruzzese continuano ad essere letti e tradotti, mentre la figura ed il pensiero siloniano sono oggetto di studio e di dibattito.

In forte anticipo sugli eventi storici coevi, il pensiero post-cristiano e post-marxista dell’esule Ignazio Silone, ha concesso un solo ritorno: quello delle ceneri, adesso ricongiunte alla Terra ed alla linfa delle sue radici esistenziali e creative. Cristiano senza chiesa e socialista senza partito – come amava definirsi – lo scrittore abruzzese ha coerentemente contrapposto, alle suadenti ideologie dominanti, alle pseudo-esigenze delle istituzioni, alle mistificazioni del potere, la forza della ragione laica ed il magistero della morale paleocristiana.

L’utopia siloniana ha preso così corpo, riga dopo riga, con una scrittura attenta al contenuto più che alla forma. Da qui il travaglio, il sacrificio, la lotta dei suoi personaggi per afferrare il senso più profondo dei valori universali della fratellanza e della solidarietà verso gli umili e gli offesi: “Se l’utopia non si è spenta, né in religione, né in politica è perché essa risponde ad un bisogno profondamente radicato nell’uomo. Vi è nella coscienza dell’uomo un’inquietudine che nessuna riforma e nessun benessere materiale potranno mai placare. La storia dell’utopia è perciò la storia di una sempre delusa speranza, ma di una speranza tenace”.

Nel contempo utopia, per Silone, è sinonimo di sfida ed eresia: Berardo Viola, Luigi Murica, Pietro Spina, Celestino V, Severina, sono l’immagine speculare, il doppio, di una biografia illuminata dalla “lezione” di Cristo. Il Credo proclamato dalla Chiesa ufficiale lascia il posto, in Silone, alla speranza della sopravvivenza di un messaggio e di una cifra: la croce della passione. Santi-cafoni, martiri, anarchici popolano pertanto le pagine di quell’unico e solo romanzo (“Uno scrittore mette tutto se stesso nel lavoro – e che altro può metterci – e la sua opera non può che costituire un unico libro”) portato avanti in 50 anni di scrittura militante.

 

DOCUMENTO *

“Et in hora mortis nostrae”

di Ignazio Silone

(Credo) Spero di essere spoglio d’ogni rispetto umano e d’ogni altro riguardo di opportunità, mentre dichiaro che non desidero alcuna cerimonia religiosa, né al momento della mia morte, né dopo.

È una decisione triste e serena, seriamente meditata. Spero di non ferire e di non deludere alcuna persona che mi ami. Mi pare di avere espresso, a varie riprese, con sincerità, tutto quello che sento di dovere a Cristo e al suo insegnamento. Riconosco che, inizialmente, m’allontanò da lui l’egoismo in tutte le sue forme, dalla vanità alla sensualità. Forse la privazione precoce della famiglia, le infermità fisiche, la fame, alcune predisposizioni naturali all’angoscia e alla disperazione, facilitarono i miei errori.

Devo però a Cristo, e al suo insegnamento, di essermi ripreso, anche standone esteriormente lontano. Mi è capitato alcune volte, in circostanze penose, di mettermi in ginocchio, nella mia stanza, semplicemente, senza dire nulla, solo con un (forte) sentimento d’abbandono;un paio di volte ho recitato il Pater noster; un paio di volte ricordo di essermi fatto il segno della Croce.

Ma il “ritorno” non è stato possibile, neanche dopo gli “aggiornamenti” del recente Concilio. La spiegazione del mancato ritorno che ne ho dato, è sincera. Mi sembra che sulle verità cristiane essenziali si è sovrapposto nel corso dei secoli un’elaborazione teologica e liturgica d’origine storiche che le ha rese irriconoscibili. Il cristianesimo ufficiale è diventato un’ideologia. Solo facendo violenza su me stesso, potrei dichiarare di accettarlo; ma sarei in malafede.

[Il Messaggero Abruzzo, 23/08/1987]

 

* Documento autografo di Silone, scritto intorno agli anni 1963-1966, rinvenuto dalla moglie Darina Silone nell’aprile del 1977, messo cortesemente a disposizione per la sua pubblicazione in anteprima internazionale nel volume di Antonio-Gasbarrini – Annibale Gentile, Silone tra l’Abruzzo e il mondo, 1979 (I ed.) – !980 (II ed. ampliata).