I “cafoni” ed il compagno Pasquini

Il Messaggero Abruzzo (26 febbraio 1983)

di Antonio Gasbarrini

Nel ricostruire la biografia di Silone del decennio 1921-1931 (gli anni della militanza comunista), ci siamo imbattuti, con Annibale Gentile, in un “documento fontamarese” reperito tra i tanti altri presso l’Archivio Gramsci di Roma.

Il verbale dell’intervento orale del “compagno Pasquini” (uno dei tanti nomi di battaglia di Silone) effettuato nel gennaio del 1928 alla II Conferenza nazionale del Pcd’I, contiene infatti più di uno spunto del romanzo che sarebbe stato scritto un paio di anni dopo nel sanatorio di Davos in Svizzera. Anzi ne costituisce un po’ la cornice naturale, la prefazione chiarificatrice dell’intenso rapporto sempre esistito tra lo scrittore Silone e la realtà sociale ed umana abruzzese.

Antifascismo, antistalinismo, antidogmatismo del marxista-cristiano Silone, sono stati sempre alimentati (da “Fontamara” a “Severina”) da una tensione morale sollecitata non già da astrazioni mistiche o filosofiche, ma dalle lotte condotte a fianco, e per gli umili ed i diseredati.

Il “documento fontamarese” proposto solo in parte per ragioni di spazio – a tutt’oggi inedito e che non va letto con pregiudiziali ideologiche, o con pretese letterarie – getta inoltre un po’ di luce filologica sui testi siloniani. Nel contempo la sua pubblicazione vuole essere un atto di omaggio al ventottenne rivoluzionario Pasquini-Silone che politicamente prima e artisticamente poi, poneva per primo l’esigenza di un elementare atto di giustizia sociale qual è stato quello dell’espropriazione delle terre del Fucino al Principe Torlonia, espropriazione realmente avvenuta con la Riforma del 1950.

L’intransigente antifascismo dello scrittore abruzzese, culturalmente “esportato” in tutto il mondo con la traduzione di Fontamara in circa trenta lingue, rivive in questi giorni nelle case degli italiani con le gesta degli antieroi marsicani stupendamente visualizzate dal film di Lizzani. Il momento è quello di un diffuso disimpegno civile, di ripiegamento sul privato, di tolleranza pseudo-culturale sulle incarnazioni storicamente assunte dal fascismo. In una situazione di abbassamento complessivo della guardia, ben venga quindi – soprattutto per le giovani generazioni – l’insegnamento corale offerto da personaggi minori come Lalimona, Maria Grazia, Scarpone, Baldissera, Michele, Losurdo e Zampa, diventati con il loro foglio “Che fare?” protagonisti e non più vittime, come Berardo Viola, della storia scritta con la “s” minuscola.

DOCUMENTO

[Dal verbale dell’intervento (qui riprodotto parzialmente) effettuato da Pasquini, alias Ignazio Silone, in occasione della seconda conferenza del PCd’I (29-31 gennaio 1928)] *.

[…] In mancanza di un rapporto generale sulla situazione dell’Italia meridionale, e di dati che riguardano queste zone, può essere utile ai compagni conoscere la realtà di una provincia che rispecchia abbastanza esattamente la situazione delle altre, ed attraverso questo breve esame prevedere gli orientamenti che si verificano in essi.

Io mi riferisco alla provincia di Aquila. Qual è la situazione economica e politica di questa provincia? Quali sono i fatti nuovi, quali sono gli aspetti e le forme che prende in questa provincia la disgregazione del blocco fascista e verso quale direzione marciano quei ceti che contribuiscono al potere ed ora se ne stanno distaccando?

Per quanto riguarda l’aspetto economico assume grande importanza la crisi molto grave causata dal fallimento di quasi tutte le banche locali, che vivevano con i sussidi del Banco di Napoli e che con la trasformazione di esso o hanno chiuso i battenti o sono fallite completamente.

La maggior parte delle industrie locali – industria che dal punto di vista tecnico si mantiene ancora al grado della manifattura dell’artigianato, cioè l’industria della lana, dei tessuti, del formaggio, delle pelli, delle conserve, – stanno attraversando una crisi gravissima. In intere zone dell’Abruzzo si è verificato il fallimento e la chiusura delle vecchie filande, delle tessitorie che lavoravano la produzione locale della lana con sistemi molto antiquati e sono state perciò facilmente battute dalla concorrenza dei tessuti delle altre parti d’Italia che venivano ad avere un prezzo molto inferiore. La stessa cosa possiamo dire per ciò che riguarda le industrie locali del formaggio, la manifattura delle pelli, ecc., che in alcune località d’Abruzzo avevano grande importanza.

Un aspetto della crisi economica che riguarda specialmente i contadini, è il ritorno alle molteplicità delle culture.

Mentre negli ultimi anni la maggior parte dei contadini lavoravano per vendere i loro prodotti che venivano nella stagione del raccolto accaparrati da ricchi commercianti romani, hanno abolito le coltivazioni destinate alla vendita per la città e sono tornati a suddividere le coltivazioni dei propri campi per soddisfare i bisogni famigliari.

Mentre in passato c’erano quelli che coltivavano una sola quantità di legumi con il proposito di vendere tutto il raccolto alla fine della stagione, ora c’è tra i contadini la tendenza generale a spezzettare i propri campi e a coltivare tutte le qualità dei prodotti che richiede il consumo della propria famiglia: appunto perché, data la perdita subita in questo anno nella vendita dei prodotti, non corrono il pericolo presentato dalle fluttuazioni del mercato.

La grande borghesia, davanti a questo fenomeno, è ricorsa ad un espediente, mai adottato dal tempo della guerra: per ciò che riguarda una parte estesa della provincia di Aquila, la pianura del Fucino, la borghesia ha costretto i contadini a coltivare la metà delle loro terre a bietola, cioè ha posto come condizione a coloro che affittano quelle terre, di dedicarne la metà alla coltivazione della bietola, in quanto era dai contadini tralasciata più volentieri, non trovando in essa alcuna convenienza.

I contadini sono costretti così a vendere la bietola a quella stessa società che affitta loro la terra, al prezzo che la società fissa, perché c’è una sola società zuccherina e quindi una sola consumatrice di bietole.

Di conseguenza, se anche il contadino volesse rifiutarsi di vendere la bietola al prezzo preteso dalla società, è costretto a tenere inutilizzato il prodotto, mancando ogni concorrenza e non essendoci da quelle parti nessun altro acquirente…

La crisi non riguarda soltanto i pastori ed i contadini: essa si estende anche ad importanti maestranze proletarie che si erano formate in questi ultimi tempi, a seguito dell’impianto di vari stabilimenti della “Montecatini” in Abruzzo che occupavano varie migliaia di operai fra Avezzano, Sulmona, ecc. Questi stabilimenti erano sorti con l’emigrazione di operai qualificati da altre regioni: ma la grandissima maggioranza della mano d’opera era costituita da artigiani e da braccianti della campagna che si rifugiavano nelle fabbriche in conseguenza della disoccupazione.

Ora, a causa dei forti licenziamenti negli stabilimenti della “Montecatini”, queste maestranze si sono disperse e rappresentano i gruppi più malcontenti nei villaggi, in quanto , data la crisi generale, gli artigiani che per andare in fabbrica avevano abbandonato la bottega, non possono oggi riprendere più il loro vecchio mestiere, ed i braccianti non trovano più lavoro.

Un’altra causa che aggrava l’impoverimento di quelle popolazioni e la quasi totale soppressione della emigrazione interna.

Mentre negli anni precedenti vi erano centinaia di braccianti che potevano recarsi nel Lazio, in Maremma, in altre regioni d’Italia a lavorare, ora, specialmente per opera delle Corporazioni fasciste di quelle regioni, questa emigrazione interna è sospesa, ed i braccianti ed i contadini poveri che grazie ad essa (emigrazione invernale o parzialmente estiva) potevano trovare un’occupazione almeno per una stagione, sono anche privati di quell’unico sbocco.

Questi sono soltanto alcuni tratti della crisi economica che ha colpito quelle province.

I dati non sono ripresi da statistiche, ma da rapporti orali di elementi del luogo.

Quali ripercussioni sociali ha questa crisi? Essa è visibile soprattutto nel seno stesso dei fasci. Per poter comprendere e giudicare l’interesse che assume in quelle province la disgregazione attuale dei fascisti e poter capire gli orientamenti di questi contadini che si attaccano al fascismo, bisogna dire qualche parola sul carattere generale che nell’Italia meridionale aveva assunto il fascismo.

Attraverso la soppressione dei molteplici partiti politici locali, e la sparizione dei capi politici delle province e delle regioni, il fascismo cercò di sopprimere i partiti sedicenti democratici come anelli di congiungimento tra le province meridionali e il potere centrale.

Ma esaminando tutto il complesso della situazione, noi ci potremmo porre la domanda: “Forse il Fascismo va verso una revisione del suo programma? Rinuncia al suo totalitarismo, torna ad ammettere l’esistenza di altri partiti oltre a quello fascista? Forse il fascismo di fronte alla propria disgregazione, all’allontanamento dei contadini, alla persistente lontananza dei proletari, ammetterà la necessità che questi ceti che si allontanano abbiano la possibilità di esprimere la loro opinione, pubblicamente con i propri giornali e con propri partiti?

Noi non crediamo questo. Noi abbiamo assistito e assisteremo a molte manovre, ma crediamo che la legge interna che presiede lo sviluppo del fascismo, è una legge che restringe sempre più la base politica e sociale del fascismo. Ammettere una cosa simile, ammettere che il fascismo ceda su questo terreno, abbandoni la politica seguita fino a ieri, riconosca la legalità dei partiti non fascisti, significherebbe scatenare in Italia la crisi che abbatterebbe in breve il regime.

Tuttavia resta la gravità della situazione. E di fronte a questa gravità, bisogna venire a delle conclusioni che confermano pienamente la tattica politica del nostro partito, la necessità per noi di lavorare in altri campi, diversi da quelli di partito o puramente sindacali, la necessità di svolgere un lavoro su questi altri ceti con forme organizzative appropriate: i comitati di agitazione.

Se in passato qualche comitato di agitazione è stato male costituito, questo è un argomento inetto contro la parola d’ordine della loro costituzione; se in determinate località non abbiamo elementi per costituirli, questo non è un argomento per combatterli.

Ma se noi assestiamo a questo spostamento di masse rispetto al fascismo, e, se noi, come partito che aspira alla direzione della rivoluzione antifascista, non ci poniamo di collegare le forze organizzate della classe operaia con queste altre che convergono contro lo stato fascista, è evidente che noi manchiamo al nostro compito.

Il problema di una simile organizzazione è quello di lanciare parole d’ordine adeguate per legare la classe operaia a questi movimenti.

Se vogliamo andare al contadino abruzzese che ragione così: “Noi non abbiamo mai sopportato il commissario-regio; abbiamo sempre voluto che il Comune sia nostro; non possiamo ammettere che Roma (cioè il Governo) si intrometta in questa questione e ci faccia delle imposizioni…”, se lo vogliamo collegare alla maestranza operaia, è evidente che non possiamo unire queste due forze sulla lotta per la C.G.D.L.. Dobbiamo invece dire loro: uniamoci per lottare contro il Governo di Roma, contro il podestà, per ridare il Comune alla popolazione lavoratrice.

Nella zona di cui vi ho parlato, ciò è anche più facile, in quanto si pone il problema dell’espropriazione di 14.000 ettari di terreno molto produttivo, proprietà di un solo padrone, il principe di Torlonia.

Questo invece han visto Mussolini inquilino di Torlonia, nella splendida villa di Roma, questi contadini hanno pensato: “Mussolini non ci libererà mai dai Torlonia.

Ponendo il problema dell’alleanza degli operai e dei contadini, del Comune alla popolazione, non riusciremo a creare il blocco per abbattere il fascismo.” […]

[Il Messaggero Abruzzo, 26/02/1983]

* Il documento integrale è leggibile nel volume Antonio Gasbarrini – Annibale Gentile, Ignazio Silone comunista. 1921 / 1931, Angelus Novus Edizioni, L’Aquila, 1989, pp 25-34.